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praesente cadavere. Coi nuovi tempi perde l’ufficio, e temendo, paurosissimo com’era, d’essere arrestato, emigrò in Francia; tornò e dal nuovo governo non ebbe molestie, nè limitazioni all’esercizio dei tanti incarichi, lucrosi tutti, ottenuti dalla Santa Sede. Una parte del mondo guelfo e legittimista di Napoli lo detestava, e il padre Curci ne discorreva con profondo disprezzo. Morì a Nocera dei Pagani, e alcuni minuti prima di esalare lo spirito, disse forte a coloro che lo assistevano: "Me dispiace sulo ca so venuto a muri mmiez’e pastenache„.1 Ferdinando II ne aveva stima, ma ne stava in guardia; e quando alla Consulta gli dava la parola, diceva sempre: "Munsignò, jamm’a franche„.2
Tra i consultori, sedevano, come ho detto, il Gamboa e il Bonanni. Il primo fu per tre mesi ministro di Francesco II; il secondo, ministro di grazia e giustizia nel primo gabinetto costituzionale del 1848, tenne aperto il libro dei Vangeli, sul quale Ferdinando II posò la mano giurando fede alla Costituzione. Quando si cominciò a parlare di abolizione dello Statuto, il consultore Bonanni al giovane relatore Giuseppe Colucci, che gli manifestava i suoi timori, rispondeva: “Hanno da tagliare queste mani, prima di abolire la Costituzione„, ricordando il fatto di aver lui tenuto il libro degli Evangeli in quel memorabile giorno. Ebbe ragione. Le sue mani non furono tagliate, perchè la Costituzione non venne mai abolita. Restò abolita di fatto sopra richiesta dei sudditi! Il Bonanni era abruzzese, come il Corsi e il Betti. Questi, nativo di Vasto, aveva fama di liberale, perchè amicissimo di Pier Silvestro Leopardi e perchè a Reggio, dove fu intendente, lasciò buon nome e larghe simpatie tra i liberali, fra i quali lo avvicinarono Casimiro de Lieto e Agostino Plutino. Il consultore Lotti era stato intendente a Foggia e il principe Capece Zurlo, a Caserta, anzi si trovava a Caserta quando fu aperta la ferrovia che uni il Real sito a Napoli. Il figlio del consultore Lotti sposò una signorina Friozzi dei principi di Cariati e fu, col titolo di conte di Oppido, elegantissimo nella società napoletana.
La Consulta aveva nel campo amministrativo la stessa alta