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Niccola Maresca, duca di Serracapriola. Avevano maggior fama, tra i consultori, don Francesco Gamboa, dotto e solenne; il barone Cesidio Bonanni, Emilio Capomazza, Tito Berni, Roberto Betti e anche Filippo Carrillo, benchè fosse stato zelante raccoglitore di firme per l’abolizione dello Statuto; anzi si ricordava una scena clamorosa avvenuta tra lui e l’Agresti, procuratore generale della Corte Suprema. Carrillo presentò la petizione agli alunni di giurisprudenza, che prestavano servizio alla Corte Suprema. Questi risposero che non avrebbero firmato, senza un ordine del procuratore generale. L’Agresti coraggiosamente li lodò e rimproverò il Carrillo, ma perdette le grazie del Re e non fu più invitato a Corte. Neppure i consultori di Stato ed i relatori firmarono quella petizione. Il duca di Serracapriola, che aveva sottoscritto lo Statuto, quale presidente del Consiglio, ne parlò al Re e questi gli diè ragione! Monsignor Salzano era succeduto nella Consulta a quel bonario monsignor Giuseppe Maria Mazzetti, il quale, predecessore del Capomazza nella sopraintendenza di pubblica istruzione, aveva riordinati gli studii superiori prima del 1848. Pochi oggi ricordano questo vecchio gioviale ed arguto, che fu in gioventù frate e amico dell’abate Galiani suo conterraneo, e morì a ottant’anni nel 1860 col titolo di monsignore. Gli era succeduto, dunque, monsignor Michele Salzano, il quale non aveva la cultura, nè l’animo gentile e signorile del Mazzetti. Il Salzano era domenicano, e fu da monsignor monsignor Cocle proposto al Re per consultore. Predicatore più verboso che facondo e decano del collegio dei teologi; scrittore di diritto canonico e di storia ecclesiastica; panegirista e polemista, e napoletano nel più ampio e volgar senso della parola, egli fu vescovo e arcivescovo titolare prelato domestico, accademico, cavaliere di più ordini, confessore di monache e, dopo il 1860, tenne a Napoli finchè visse le veci di nunzio pontificio, d’accordo fra la Santa Sede e l’ex Re, per cui non si concedeva dignità episcopale nell’antico Regno, senza sua proposta o beneplacito. Non andò immune da sospetti simoniaci. Morì vecchio, nel 1890, lasciando una fortuna. Era ghiotto di dolciumi, di maccheroni, di gelati, che chiamava ’o stracchino e di ogni altro cibo napoletano; delle sue ghiottonerie non faceva mistero, accettava pranzi, e nell’insieme aveva qualche cosa di pulcinellesco. Fu lui che pronunziò in Santa Chiara l’elogio di Ferdinando II,