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col Regno d’Italia, consigliere di Cassazione; il piccolo e nervoso Niccola Rocco, il quale, dopo il 1860, insegnò diritto commerciale all’Università. L’alta magistratura napoletana, anche in tempi tristi, fu modello di sapienza, di dignità e di decoro, specialmente la civile. Apparteneva anche alla Corte Suprema quell’ottimo don Niccola Spaccapietra, che fu presidente della Corte di Cassazione dopo il 1860, e che oggi è tuttora ricordato con rispetto, come si ricordano parecchi di quelli, che ho nominati. Aveva non so quale deformità alle mani, per cui nei conviti ufficiali non si toglieva mai i guanti.
Vincenzo Lomonaco era presidente del tribunale e Gennaro Rocco, fratello di Niccola, procuratore del Re. Questi Rocco, uomini di valore, erano devotissimi ai Borboni; e Niccola che, in materia di diritto commerciale, godeva molta riputazione anche all’estero, fu tra i nove che scesero in campo a confutare lo scritto di Scialoja sui bilanci napoletani. Sedeva, tra i giudici del tribunale. Bernardino Giannuzzi Savelli, il quale aveva un piede in curia ed uno nel mondo galante, e che tutti maravigliava per il suo felice talento, ma ai colleghi riusciva poco gradito, perchè accentuatamente sdegnoso delle volgarità del mestiere. Tra i giudici soprannumeri di allora, alcuni occupano oggi posti eminenti, come il senatore Antonio Nunziante, primo presidente della Corte di Cassazione di Napoli; e, se volessi portare le indagini sui giudici soprannumerarii dei tribunali di provincia, troverei Carlo Bussola che divenne poi un atleta della parola, al tribunale di Santa Maria; Carlo Adinolfi, ad Avellino; Luciano Ciollaro, procuratore del Re a Reggio; e sparsi qua e là, in posizioni modeste, quasi tutti i presenti consiglieri di Cassazione di Napoli.
Gli stipendii della magistratura collegiale non erano scarsi; anzi, dati i tempi, erano piuttosto lauti. Dopo parecchi anni di alunnato affatto gratuito, si aveva il primo stipendio di giudice di tribunale o di sostituto procuratore del Re, di ducati 65, poco meno di trecento lire. "La prima volta, che mi portarono lo stipendio, racconta ingenuamente Carlo Bussola, oggi procuratore generale della Cassazione di Palermo, mi sentii ricco. Sessantacinque ducati, e io non ne spendevo più di venti! Ero a Santamaria, e pagavo il fitto di casa per la mia famiglia ducati sei al mese; il pane costava grani tre al rotolo; con due grani si