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Santamaria che allora s’iniziava nel fôro, con suo fratello Niccola e chiamato Cicciotto da parenti ed amici. Don Pasquale Jannaccone e il marchese Brancia, padre di Carlo, morto consigliere di Cassazione nel 1896, n’erano i vice-presidenti; e avvocato generale, don Stanislao Falconi, di Capracotta, zio del presente sottosegretario di stato della giustizia e fratello di monsignor Falconi. Era il Falconi ritenuto giurista di valore, e di non minor valore erano, tra i consiglieri, Pietro Ulloa che fu poi ministro di Francesco II, e Niccola Gigli già ministro dell’ultimo gabinetto costituzionale. Don Filippo Angelillo, malamente distintosi come procuratore generale della Corte speciale (la quale condannò Settembrini, Spaventa e Barbarisi a morte, Poerio, Pironti, Braico e Nisco ai ferri, e Scialoja alla reclusione) era anche lui consigliere. Sciolte quelle Corti, i magistrati che le componevano, ebbero destinazione diversa: e così troviamo tra i giudici della Gran Corte Criminale di Napoli, Lastaria, Giambarba, Amato, Canofari e Juliani; e procuratore generale, don Francesco Nicoletti il quale aveva occupato lo stesso posto nella Corte speciale di Cosenza, che condannò, per i fatti del 1848, quattordici liberali a morte e 150 ai ferri! Furono, tra i primi, Vincenzo Morelli, Giuseppe Pace e Stanislao Lamenza, non che il Ricciardi, il Mauro e il Musolino, contumaci. Presidente della Gran Corte Civile era Vincenzo Niutta che, morto il Nicolini, gli successe nella Corte Suprema. Il posto, gerarchicamente, sarebbe spettato a Jannaccone; anzi vi fu pur nominato, ma poi il Re lo concesse al Niutta, per confortarlo di un grave oltraggio fattogli dal principe d’Ischitella, al quale il dotto magistrato era stato contrario in una lite. Il Niutta morì senatore del Regno d’Italia, dopo aver proclamato il plebiscito delle Provincie napoletane e dopo essere stato ministro senza portafoglio con Cavour. Uomo di larga cultura, visse quasi sempre estraneo alla politica. Sedendo alla Camera sui banchi del ministero, si addormentava spesso, e piegando involontariamente il capo, pareva talora che approvasse i discorsi degli oppositori. Le sue sentenze sono monumento di dottrina, ma in politica seguì la massima di sapersi accomodare ai tempi.

Tra i consiglieri della Gran Corte Civile ricorderò Achille Rosica, già intendente di Basilicata e poi direttore del ministero dell’interno sotto Francesco II; Callisto Rossi, che divenne,