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apparenze e nelle abitudini, al contrario dei giovani di Puglia, per i quali, appena giunti a Napoli, il sarto e il barbiere erano la principal cura. Gli studenti più poveri, e ve n’erano di quelli che ricevevano dalle famiglie non più di sette o otto ducati al mese, pranzavano in piccole osterie della vecchia Napoli, con pochi grani al giorno. Era celebre, e tuttora esiste, l’osteria di monzù Testa, in via dei Tribunali. E vi erano bettole ancora più economiche, dove la sera si poteva sfamarsi con pizze, castagne e olive. Oggi uno studente non costa alla sua famiglia meno di 150 lire al mese; ha la sua camera mobiliata, pranza al restaurant o alla pensione, ed è generalmente un politicante fastidioso, il quale non ha paura di nessuno, essendo convinto che con la violenza riesce a farsi nome e a bucare leggi e regolamenti scolastici. Allora, ruvidi e poveri, avevano elevate idealità, che li rendevano simpatici, nè a torto la polizia li temeva; oggi, coi loro eccessi calcolati e le tendenze realistiche, delle quali menano vanto, riescono, tutto compreso, un tipo antipatico. A11ora riportavano da Napoli la goffaggine partenopea del dialetto e degli scherzi; oggi vi aggiungono le perfezionate trappolerie elettorali, le ambizioncelle precoci e le amicizie coi peggiori giornalisti.
L’autorità vedeva di mal occhio l’agglomerarsi degli studenti in Napoli, e perciò non erano tollerati che quelli già muniti della licenza professionale, che si otteneva nei licei di provincia. A Napoli bisognava rimanere il tempo strettamente necessario per dare gli esami di laurea; anzi non si rilasciavano passaporti negli ultimi anni a studenti privi della licenza professionale. Però si trovava modo d’aggiustar tutto con pecunia e neppur molta. Non era permesso venire dalla Sicilia a studiare in Napoli. Se di qua dal Faro non v’erano altre Università, presso i principali licei delle provincie esistevano cattedre di diritto e procedura civile, di diritto e procedura penale, di diritto romano, di anatomia e fisiologia, di chirurgia teorica e pratica, di medicina pratica, di chimica farmaceutica e di storia naturale; e in qualcuno, come in Aquila, di medicina legale e materia medica, di mineralogia e geologia. I reali licei o collegi, avevano un convitto, diretto dai gesuiti o dagli scolopii, i quali insegnavano generalmente lettere, filosofia, scienze fisiche e matematiche. Gli altri professori erano laici. Cosi, a Lecce insegnava diritto ei