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fidava i suoi disgusti sulla morta gora politica di Napoli, le sue stanchezze nell’attendere più oltre l’energica decisione di riprendere inintiera la sua libertà di azione,,....

E in seguito il Dramis narra com’egli avesse divisato di recarsi in Napoli, temendo le conseguenze disastrose di un colpo di testa per far rimuovere il Milano da un possibile proposito regicida, ma non potè ottenerne il permesso; e poichè fidava di stornarlo dalle sue estreme risoluzioni, gli scrisse scongiurandolo di attenderlo. “Ma, dice il Dramis, era scritto sui fati d’Italia, che lo spettacolo storico di Muzio Scevola si riproducesse attraverso venticinque secoli, sopra un quadro anche più importante di attualità!„1


Documento XIX, volume I, Cap. X.


Petizione del comune di S. Demetrio Corone
perchè non fosse trasportato altrove il collegio di S. Adriano.


Questa petizione fu provocata dalle voci insistenti che, per effetto di quanto era avvenuto nel 1848, il governo volesse sopprimere il collegio sotto forma di trasferirlo altrove. È un documento curioso, perchè rivela pittorescamente qual fosse la condizione economica del collegio e perchè assicura il re che “stava dimesso da più tempo il collegio all’epoca deplorabile dei torbidi di Calabria del 1848, e che la universalità di S. Demetrio, non pur aliena, ma nemica fu ad ogni tentativo rivoluzionario.„ La petizione non avrebbe conseguito il suo scopo, se non fosse stata raccomandata al dottor Jeno, medico di Corte, albanese e attaccatissimo ai Borboni, che aveva seguito in Sicilia. Il dottor Jeno ne parlò al Re; poi fece andare il sindaco a Napoli, lo presentò al sovrano a Capua, e ottenne che la disposizione fosse revocata, ma non fu revocata quella che aveva destituito da rettore il Marchianò, sottopposto anche a processo, e nominato in sua vece don Vincenzo Rodotà, degnissimo sacerdote della famiglia dei fondatori del collegio, e nativo di san Benedetto Ullano. Il Rodotà appena dopo l’attentato, fu destituito e obbligato a lasciare il collegio, unicamente perchè concittadino di Agesilao.

Ecco la petizione, il cui originale fu trovato tra le carte del dottor Jeno, e da lui annotata così: Borro di Sup. del Sindaco e Decur-

  1. Questa lettera suscitò altre polemiche, poichè F. S. Marchese volle a buon diritto rivendicare l’onore del giovane Domenico Antonio Marchese, suo congiunto, uno degli arrestati di Cosenza, e che leggermente il Dramis chiama autore di denunzie calunniose, per effetto delle quali, e non per altro, secondo egli afferma, Guglielmo Tocci, parente del Marchese, sarebbe stato arrestato in Napoli.