Documento IX, volume I, cap. X.
Ode inedita di Agesilao Milano.
L'ultima sorpresa che Bozzari fa ai Turchi, e sua morte.
[1847].
Era notte - e la pallida Luna
Su pei liquidi campi non sorse,
Nè alla volta dei cieli ne scorse
Con l’usato e divino splendor.
Ma una densa tenèbre regnava,
Un silenzio scorgeasi per tutto,
Par nunziare l’orribile lutto
Ai Turchi, e l'estremo dolor.
Sorse in mezzo tal notte Bzzsàri
Sotto l’armi lampante di guerra,
Al suo grido rimbomba la terra
L'eco in tutto per tutto s’udi.
E di botta trecento Sulioti
Gli fan cerchio già prodi guerrieri
Cingon tutti a quell’eco i cimieri
E ciascuno la spada brandì.
Marcia in campo da duce Bozzàri
Animando i seguaci suoi prodi
Alla voce di fervide lodi
Gli s’accendon di bellico ardor.
E nel mentre Bozzàri animando
È ai Turchi sua voce funesta
Romorosa qual grande tempesta
Che al nochiero ne reca timor.
Tutto a un punto si sbuca il drapello
Ai Turchi far scempio, furente,
Quale sbuca dal monte torrente
Schianta tutto che innanzi li vien.
È Bozzàri sul ballo di zuffa
Quale folgor tremendo che cada
Sovra monti superbi e dirada
L’alber tutto con tutto il terren.
Al suo scudo stà sisso la morte,
Quà ne sparge funesto spavento,
Là furioso ne reca tormento,
E adietro la fama gli vien.
Dal suo brando la morte ne piove
Cadon gente, recide stendardi
Spesso ancora già un nembo di dardi
Piomba sempre al nemico nel sen.
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Sgorga il sangue: rosseggia la terra
E a Bozzàri ne imbratta il suo volto
Pure il brando nel sangne è sepolto
E dal sangue nel petto sen va.
Qual d’autunno a quel soffio di vento
Cadon sempre già gl’ispidi cardi,
Si la testa dei Turchi beffardi
A lor sangue ruotando si sta,
Scorre il sangue fumante qual rivo,
Monti interi di corpi svenati
E quel nembo di corpi gelati
Par mordesser coi denti il terren.
Vittorioso Bozzàri s’avanza
E veloce si spicca qual lampo
Già penetra nel campo e dal campo
Baldanzoso uccidendo ne vien.
Un subuglio fra i Turchi ne sorse
L'uno al’altro domanda, chi è questo?
Tutti gridan: è un turbin funesto
Che dal cielo or ora piombò.
Non son turbin, d’ardire Bozzàri
Gli risponde: ma il duce dei Greci,
“Io son Marco che i Turchi disfeci
“E gli avanzi atterrando ne andrò„.
Il Pascià finalrente ne acciuffa
Pien di gaudio repente l’uccide,
Poi col brando il suo capo recide
E quel teschio nel sangue sen và.
Ahi tremenda, funesta sventura!
Mentre in gioia Bozzàri è sepolto
La vittoria stà sisso al suo volto
Ma in tal punto, ahi!... ferito si stà.
I suoi prodi guerrier vincitori
Il conflitto lasciaro veloci
All’istante che udiro le voci
De’ lor duce sepolto in dolor.
E s'aggruppan repente quai nubi
Sovra il corpo languente del duce
Su cui splende una vivida luce,
Luce è questa di fama e d’onor.
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