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e i Miracoli.1 La sera di giovedì era un tempo orribile, ed io non uscii. Cesare uscì e verso le 10 e mezza tornò a casa con un volto sbigottito e addoloratissimo. Gli riuscì malgrado le insistenze mie, che avevo presagito una disgrazia, di eludere ogni mia sollecitudine: e appena la mattina del venerdì mi disse che il povero Arana era preso dal cholèra. Quando io mi fui ostinato di volere accorrere ad assisterlo, fu necessario di confessarmi che Arana già da venti ore era morto!!

La mattina del mercoledì 28 Arana s’era desto con un po’ di diarrea. Già dai principii del mese d’ottobre l’era venuta soffrendo a quando a quando; ma così mite, che poche pozioni d’acqua di riso erano sufficienti a liberarnelo. Credette che anche allora non si trattasse che di tanto, e mandò a dire a Rubino2 che a suo comodo fosse venuto da lui. Vedi se questa malattia toglie il senno! La diarrea era già diventata di natura cholerosa e Arana era ancora alzato. Nè si corcò se non quando sopraggiunse Rubino, e Marcello, che s’accorse per una combinazione, e fu il solo napolitano che potè esser presente all’ultima infermità di chi amava ed era amato da tanti napoletani come fratello! Sotto l’uso della canfora, abusata molto da Rubino, egli peggiorò: ma la stessa canfora potè poco agire altro che sopra i suoi nervi, i quali si eccitavano al vomito, appena una sola gocciola di quello spirito gli toccasse le labbra. A poco a poco i polsi risalirono al principio delle braccia; benchè algidismo non ce ne sia stato mai, anzi sudore (Dio sa di che natura) ma sudore. Verso le ore sei essendo stati chiamati altri medici, Biondi e Rosati, egli che s’era così visto peggiorare sotto l’omeopatia, volle affidarsi a questi. E dopo aver preso i sacramenti (e per proprio desiderio, e per consiglio dei medici) incominciò a prendere il chinino.

Non ne prese in tutto che vent’acini. Ma la vera sede della malattia, in tutti già, ma in lui specialmente, era ai nervi, i quali negli ultimi mesi gli si erano indotti in uno stato di prostrazione e d’irritabilità quasi incredibile. E pare che i rimedii prescelti così dall’uno come dall’altro sistema, fossero appunto i meno adatti a quel suo stato. Ond’è che quella dose di chinino non altissima bastò a farlo peggiorare, come era già bastata quella quasi indiretta azione della canfora. Non ostante i medici furono contenti d’un sopore, in cui entrò, e nel quale rimase tutta la notte, che fu creduta da essi tranquillissima e di ristoro. Alle dieci e mezza del giovedì mattina parlò l’ultima volta, ma con voce fioca e con viso tramutato irrico-

  1. Il celebre educandato di Napoli, nel quale erano chiuse le tre figliuole dell’Antonacci, nipoti del Casanova. Nonnò era la nonna, la quale aveva sposato in seconde nozze il principe di Ottajano; e Beatrice era la sorella di Alfonso, maritata al duca Gurgo di Castelmenardo.
  2. Il medico curante.