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l’elezione dei riprestinati Pari, era un fare atto di fatale opposizione contro chi poteva ed aveva osato ogni cosa; era un designarsi infruttuosamente e senza asilo pei presenti, al facilmente incitabil odio di una affascinata moltitudine. E d’altra parte a che avrebbe riparato il martirio dei nuovi eletti? Allora nella Camera, lo ripetiamo, l’opera parlamentaria era compiuta, Rappresentanti e Pari l’avevano già consumata. Pure i fatti posteriori meglio di ogni parola qualificano i precedenti. Quali furono la condotta, le idee, le tendenza de’ già Pari elettivi? Basti il dire che in quindici interminabili mesi di reggimeuto rivoluzionario, quando noti ed ignoti erano a fascio chiamati al Ministero, niun di loro fu mai, nonchè assunto, ma nò ad esso invitato. E non di meno, poichè il voto di due Camere legislative era solennemente concorso alla loro elezione, è a presumere aver collocate fra essi più di un’assennata capacità.

Ma agli occhi di una fazione, che non vive se non di sistematica esagerazione, non ha alcun peso quel merito che non sia stemperatezza di voti, esaltazione, fanatismo. Nè questa volta, a dir vero, andava errata, che i già Pari temporali elettivi di ben altro amore amavano il paese, nè sapean per esso vedere che sciagure, ruine, e turpe assoggettimento, ove dal suo Re e dalla legittima Dinastia si dipartisse.

Quindi, appena certa maturità di tempi ne offerse loro il destro, potentemente concorsero ad abbattere la incomportabile dominazione di una perfidiosa monomania (sic). E però l’ultimo Ministero dei 15 aprile 1849, il solo, dopo quindici mesi, Ministero di reazione, inteso a restaurare le smarrite idee della legittima Monarchia, si compose sopra tre Ministri, di due fra Pari elettivi. Ed in mezzo a pericoli di ogni specie, di ogni intensità non si sarebber essi rimossi dall’opera da loro cominciata, se non avessero stimato miglior consiglio il dare un primo esempio di obbedienza agli ordini precisi di V. M. che l’amministrazione delle cose passasse al Municipio di Palermo.

Ecco i già Pari temporali elettivi a piò del Real Trono in quel rigore di verità, siccome sarà per giudicarli la storia. Pur tali quali essi sono, non dissimulano a se medesimi il grande uopo (sic) in che stanno della Clemenza Sovrana per sentirsi sicurati nella lor coscienza di fedele sudditezza (sic). Ma il nipote di S. Luigi e di Enrico IV ha già dimenticato fatti più gravi, perchè abbiano a sconfidare i sottosoritti non voglia ora far scendere su loro la magnanimità che oblia, e la grazia che riconforta.

Umilissimi devotissimi sudditi
Barone di Canalotti — Cav. Giovanni Calefati
Marchese di Villarena, Vincenzo Mortillaro.