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Proemio della seconda edizione.


Mia nobile e cara amica,

Dedico a Lei questi due volumi della Fine di un Regno, per attestarle la mia profonda gratitudine. Senza il Suo concorso, io non avrei potuto condurre a termine un’opera, ch’è il resultato di pazienti ricerche fatte in molti archivi privati, ma soprattutto in quello del palazzo Como, che fu della Sua famiglia, e che Suo fratello Gaetano, con regale munificenza, donò alla città di Napoli. È in questo archivio, che io ho consultati i documenti dell’impresa di Sicilia del 1848 e 1849, e della successiva luogotenenza, e i pochi ricordi del principe di Satriano sui casi di Napoli, nei primi mesi de regno di Francesco II. Se non è questa tutta la vita di Suo padre, che Ella, così benevola, desidera che io scriva, n’è l’ultimo periodo, il più vivo e interessante per la nostra storia politica, Il primo periodo, compreso nell’epoca napoleonica e murattista, sarà da me narrato sulla scorta delle Memorie di lui, le quali, come ella sa, terminano al 1848.

Il generale Filangieri, come tutti gli uomini che lasciano un’orma incancellabile del loro passaggio nel mondo, fu vittima di appassionati e severi giudizi per l’impresa di Sicilia, e per il suo breve governo, come primo ministro di Francesco II. Ma non si fu giusti con lui. L’impresa di Sicilia non era simpatica, anzi fu odiosa per la parte liberale; ma risulta dai documenti, pubblicati per la prima volta in questi volumi, che egli la compì come un dovere militare e civile: dovere che intese altamente e gli costò non poche amarezze, obbligandolo a dimettersi e dandogli la coscienza chiarissima che, col sistema dei Borboni, la Sicilia presto o tardi sarebbe perduta per quella Monarchia. La sua opera nei quattro mesi che fu al Governo, dopo la morte di Ferdinando II, mirò all’alleanza col Piemonte, al concorso delle armi napoletane nella guerra dell’indipendenza e alla formazione di due grandi Stati al nord e al sud d’Italia, confederati a comune difesa e senza stranieri. Ideò una Costituzione assai diversa da quella del 1848, e l’interessante disegno del nuovo Statuto, redatto da Giovanni Manna e da me trovato nelle carte intime di lui, io pubblico qui per la prima volta, ad onore di entrambi.