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I dottrinari e tutti i liberali intelligenti del paese meravigliarono di questa recrudescenza istantanea nello spirito sedizioso della gente di azione, e si avvisarono di profittarne qualora riuscisse l’insano tentativo.

I giorni 9 e 10 si passarono tranquillamente, e la polizia fu intenta a dar la caccia ai compromessi, ed a soffocare lo spirito di vertigine che divampava.

In Bagheria, paese abitato da gente ribalda che in tutti i tempi ha apprestato a Palermo il miglior nerbo degli uomini di azione, un tal D. Giuseppe Mastricchi, veduto mancare il colpo preparato pel mattino del 9, pensò di concitare gli animi di circa un cinquanta abitanti di quella terra, dicendo loro che se fossero animosi a lanciarsi sopra Palermo, la rivoluzione si sarebbe d’un subito compita, avvegnachè nelle condizioni presenti nelle quali trovasi la Sicilia, egli diceva, bastava una scintilla per far divampare un grande incendio.

Quella gente avida di sangue e di rapina accolse l’insano consiglio ed assembrossi nelle ore vespertine del giorno 10 in una casina, che sta sul versante del monte Zafferano lungi dall’abitato.

La più gran parte de’ faziozi eran senz’armi, e si pensò fornirsene disarmando un antro doganale, che stava nella sottostante baja dell’ Aspra, e la Guardia Urbana di S. Flavia e Porticello.

Quella gente si divideva, ed una parte scendendo all’Aspra, sorprendeva l’antro, e toglievano cinque fucili, un trombone, due pistole, cinque sciabole, la munizione, e rubavano diciotto ducati, e le vestimenta, che si appartenevano allo equipaggio, che impotente a resistere, si lasciò disarmare e spogliare.

L’altra parte si recava in Santa Flavia e Porticello, ove disarmava la Guardia Urbana, ed uccideva due disfortunati coloni, de’ quali uno si negò a dar loro le armi, e l’altro ricusossi a seguire la banda.