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zando gli disse: cumpà, hai messa sta scudascine! La Scudascine è chiamata nel nostro dialetto il sottopancia dell’asino. Lo seppe il sottocapo, e subito ordinò l’arresto del Caracciolo; e poichè questi aveva i baffi, lo condusse da un barbiere, e glieli fece radere. Il sindaco era persona perbene, un po’ altezzosa secondo l’andazzo dei tempi; e fu sostituito, forse perchè non abbastanza pieghevole ai capricci del Santoro, dal negoziante Galante, uomo leggiero, venduto al sottointendente. La città nè per polizia, nè per importanza commerciale ed economica, potevasi paragonare alla presente. Era sporchissima, e contava appena la metà della popolazione di oggi, e chiusa nella sua vecchia cerchia. Ella deve ricordarla. Può dunque bene immaginarsi quanto fosse noiosa la vita per suo zio, e per i suoi compagni di domicilio coatto, guardati a vista, e che la sera dovevano tornare a casa prima dell’avemmaria, e subire non poche prepotenze e piccoli ricatti dagli agenti di polizia.
Finalmente giunse il momento della liberazione dei poveri coatti; e suo zio, pria di andarsene, ci lasciò un Addio, 1853, ai miei amici Barlettani. Erano 44 ottave che io conservai e conservo, e nelle quali fa cenno delle nostre glorie avite, e fa anche il nome di parecchi amici, fra i quali ci è quello della mia famiglia Vista.
Questo “Addio„ l’ha trovato fra le carte di suo zio? Se non, sarei ben contento mandargliene copia, e così aggiungere un documento sulla vita dell’illustre uomo nei tempi terribili del Santoro.1
Dev.mo Suo: |
- ↑ Delle quarantaquattro ottave pubblico la prima e l’ultima:
ADDIO!
Ai miei amici di Barletta
(1853).
Addio! fra l’ire dell’età nemica
D’una briga civil già fatto segno,
Su questa sponda dolcemente amica
Trassi per odio di malvagio sdegno:
Ma in questa Terra, che per fama antica
Suole pregiar lo sventurato ingegno,
Al fulminato esiglio e alla vendetta
Seguia d’amici una corona eletta!
. . . . . . . . . . . . . . . .
Siccome ignoto viator piumato
Che nuove terre col passar saluta;
Come fiocco di neve in mar calato,
Che orma non lascia della sua caduta:
Non so’ s’’io lascio aloan ricordo grato
In questa terra, che non è poi muta...
Ben so che porto dentro il potto mio
La ricordanza «l’un dolente addio!...