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dente Santoro, che lo volle il più vicino possibile sotto la sua feroce sorveglianza. Si trovava qui allora un giovine piuttosto maturo, impiegato di dogana, Peppino Macridima, greco di origine, nato però a Barletta, tanto amico di mia famiglia; e suo zio, che fu raccomandato qui a Zaccaria Briccos, negoziarte rispettabile, e capo della colonia greca, andò a stare in casa del Beppino, abitante allora in un quarterino al 2° p. di proprietà tuttavia del cav. Ruggiero de Leone. Io nel 1853 avevo 19 anni; ed insieme ad altri amici, tra i quali i giovani greci Attanasio e Nicola Briccos, figlio e nipote dello Zaccaria, di fresco venuti da Trieste, dove aveano dimorato qualche anno per perfezionarsi negli studi commerciali, il sacerdote Ruggiero Casardi, educatore allora di Carmine de Martino, il giovane avvocato Gaetano Passaro ed altri, ogni giorno si andava a passare qualche ora a casa; e Gaetano che parlava declamando, istruito e versatile ingegno, manteneva viva la conversazione. Ricordo fra le tante belle cose, che vi si leggeva nella piccola società, alla barba del sottointendente, una poesia del 1848, intitolata se, mal non ricordo, Il tripode di Marte, del professore Celesia, genovese. Allora la sapevo tutta: ora non ricordo che gli ultimi due versi:

Fuoco egli è che inspira i carmi
di Petrarca e di Alighier!

Ricordo, come se fosse oggi: in quelle ore geniali e paurose, si facevano le più matte risate sugli amori del Gaetano, con una signorina, una Giunone, mentre Gaetauo era piuttosto mingherlino. La chiamava Gnesina: amori che ebbero il loro epilogo in un buon matrimonio, male assortito, onde Gaetano, dopo cinque o sei anni, se ne morì e fu una perdita pel paese!

La Barletta di allora era quella che io ho descritta nel mio opuscolo pubblicato del 1899, dal titolo: Barletta prima e dopo il 1860. Qui aggiungerò, che in quell’anno 1853 era sindaco don Vincenzo Cafiero, zio del padre del sindaco presente comm. Arcangelo; ed era capo urbano don Ruggiero Straniero, persona dabbene, ma che per contentare il famigerato sottointendente, vero terrore di tutti, lasciava briglia sciolta a un sottocapo, che studiava ogni mezzo per rendersi esoso e temuto più del suo protettore. I militi urbani erano quasi tutti contadini, i quali, per esimersi dal servizio notturno, pagavano un cambio. Per dimostrare l’animo prepotente del sottocapo, ora morto e... parce sepulto, ecco un aneddoto che fece chiasso. Un giovanotto di buona famiglia, Filomeno Caraociolo, un giorno incontrò un urbano, che andava al posto di guardia con la giberna a tracollo; e siccome era suo conoscente, scher-