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lo richiamò, e giunto che fu a Napoli, non volle riceverlo. Il Castelcicala non sapeva a che attribuire la sua disgrazia, e da principio sospettò che la moglie avesse pregato il re di farlo tornare, mal patendo di non averla egli condotta seco a Londra, colla scusa che cercava un appartamento degno di lei e non potuto in tanti anni trovare.
L’Indipendence Belge, portatagli a leggere dal giovane avvocato Domenico Gallotti che divenne poi il suo segretario intimo, gli apri la mente. Quel giornale annunziava che il Ruffo era stato richiamato, perchè non aveva impedito che si pubblicassero le lettere gladstoniane. E fu allora che il principe, smessa la flemma abituale, indossò l’uniforme, corse alla reggia, e dichiarandosi stupito ed offeso di quel che si era di lui affermato nel giornale, narrò al re come veramente erano andate le cose. Ferdinando II cadde dalle nuvole, e in quel giorno stesso destituì il Fortunato da presidente del Consiglio e da ministro degli esteri, e licenziò il Corsi. Ma Castelcicala non tornò a Londra, ebbe una missione temporanea a Vienna, e ne era tornato da poco quando il re gli offerse di andare in Sicilia.
Il Castelcicala condusse seco il Gallotti come segretario particolare, ottenendogli la nomina di consigliere d’intendenza a Napoli, con missione a Palermo. Egli fu davvero il segretario fido e il miglior ispiratore del principe, di cui rispettò e difese l’onorata memoria. L’accompagnò nell’esilio e non lo lasciò che dopo la morte. Divenuto più volte milionario, fu a capo di parecchie società industriali. Io devo a lui molti particolari interessanti di quel periodo, nonché le rivelazioni circa le sentenze di morte del Bentivegna e dello Spinuzza, che mi cominciò a narrare, navigando insieme fra Napoli e Palermo, e me ne continuò più tardi la narrazione con date precise, mostrando così una rara felicità di memoria. Il Gallotti è morto da poco.
Se il principe di Castelcicala non aveva tutto il prestigio militare di Filangieri, contava nella sua vita l’episodio di Waterloo, dove, ufficiale d’ordinanza di Wellington, si era battuto con coraggio ed era stato ferito a morte. Se Filangieri zoppicava per le ferite toccate, combattendo per l’indipendenza d’Italia, Castelcicala portava sulla testa una piastra d’argento, perchè la cicatrice non si chiuse mai interamente. E apparteneva inoltre a