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le scuse se, dopo aver atteso venti minuti, la Corte era andata a tavola. Castelcicala attribuì allora la colpa del ritardo all’orologio che, tratto dal panciotto, aveva tra le mani. Si chiacchierò, si rise e tutto parve dimenticato. Dopo il pranzo ci fu circolo, e in un momento nel quale Luigi Filippo si avvicinò al Canofari, questi, con pochissimo tatto, anzi con qualche malignità, disse al Sovrano che veramente l’orologio non aveva colpa, solo imputabile il ritardo alla lentezza del principe; e dicendo questo e sorridendo, cercava di metter fuori l’orologio suo, a prova di quanto asseriva. Ma il Re seccamente gli rispose: "La montre pour le Prince, pour vous le Prince„.


Il principe di Castelcicala era ministro a Londra, quando nel luglio del 1851 Gladstone pubblicò le famose lettere sulle prigioni e i prigionieri politici del Napoletano. E qui bisogna sapere che lord Aberdeen informò veramente il Castelcicala delle intenzioni di Gladstone, non senza aggiungergli che le lettere, che egli aveva lette, avrebbero sollevata, in tutto il mondo civile, una protesta contro il governo di Napoli, ma che non pertanto egli, Aberdeen, si riprometteva di impedirne la pubblicazione, purchè il governo napoletano desse qualche prova di ravvedimento. E lo pregò d’informarne il suo governo e provocarne una risposta. Il Castelcicala ne scrisse privatamente al ministro degli esteri Giustino Fortunato, e al segretario particolare del Re Leopoldo Corsi. È noto con quanta leggerezza il Fortunato e il Corsi appresero la notizia, della quale credettero non valesse la pena d’informare il re e alle lettere di Castelcicala non fu data risposta. Passarono due mesi, e lord Aberdeen invitò il ministro napoletano a riscrivere, assicurandolo che la pubblicazione sarebbe rimasta sospesa per un altro mese ancora. Il Castelcicala riscrisse, ma nessuno si fece vivo. Forse avrebbe fatto meglio andando lui a Napoli per informarne di persona il re, ma non era uomo da iniziative. Trovò invece naturale il silenzio e nulla rispose a lord Aberdeen, e così la pubblicazione avvenne e lo scandalo fu enorme. Non occorre ricordare che, in quelle lettere, il governo borbonico era definito la "negazione di Dio eretta a sistema„. Ferdinando II andò su tutte le furie, e ritenendo che il suo ministro a Londra non avesse fatto il proprio dovere, impedendo la pubblicazione delle lettere o almeno prevenendolo,