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osservazioni da notaio, come scrisse Filangieri, questi rispose il 12 giugno con un memorandum, firmato da lui e dal Giudice, per dissipare i dubbii circa le garenzie degli assuntori, i quali, a cauzione degli obblighi, avevano depositato sessanta mila ducati sul Gran Libro di Sicilia. Si accettavano nondimeno alcune modifiche al contratto; si facevano osservazioni circa l’impossibilità di accettarne altre, e si notava che se vi sarebbero stati degli utili per la società assuntrice, questa anticipava in sei anni le somme occorrenti a tutt’i lavori, per riprenderle in quattordici, alla ragione di trecento mila ducati l’anno. Alle difficoltà e ai dubbii circa la capacità delle provincie di sostenere la spesa, Filangieri rispondeva inviando un quadro dell’imposta fondiaria, ripartita per provincie, e dimostrando che con l’elevare al 3 per cento la tassa sull’imponibile fondiario, sarebbero stati in tutto ducati 2 240 027 e grana 90; per cui sopra un imponibile di ducati 14 771 800, la tassa fondiaria sarebbe stata dal 15 al 16 per cento sul reddito, e perciò tollerabilissima. Corrispondenza lunga e stranamente curiosa, ignota finora, e nella quale si rivelano tutti gl’infingimenti del governo di Napoli, cui, mancando il coraggio di respingere il contratto, era più comodo ricorrere a cavilli e a previsioni in mala fede, per conseguire il vero fine di non farne nulla. La stessa proposta di Filangieri, di cominciare i lavori contemporaneamente in ciascuna provincia, diè al Cassisi nuove armi per affermare che gli assuntori volessero costruire i tronchi stradali meno dispendiosi, e poi lasciare a mezzo l’impresa e far rimanere l’Isola disseminata di tronchi non collegati fra loro, e di ponti senza strade per arrivarvi. Non è senza un profondo senso di malinconia, che si leggono i documenti, i quali si riferiscono a questo disgraziato incidente: documenti che il principe conservò nel suo archivio, annotati spesso con parole vivaci, le quali rivelano la grande amarezza di non poter riuscire all’attuazione del suo disegno. Alla fine, dopo aver inviato nel dicembre del 1852 un altro memorandum circa le condizioni economiche dell’Isola per i mancati ricolti, e la necessità urgente di opere stradali, dovè pur troppo persuadersi che non se ne voleva far nulla; e nel luglio dell’anno seguente, andò dal Re che era a Gaeta, e gli fece le sue vive rimostranze. Ma non ne ebbe che promesse rassicuranti, condite dalle solite espansioni, benevole nella forma, ma non sincere nella sostanza.