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principi la croce a baciare. Sulla porta si leggeva questa sconclusionata epigrafe:

QUESTI SACRI PENETRALI
CON FRANCO PIEDE ED ANIMO RACCOLTO
PIO AD INTEGERRIMO PRINCIPE
DELLA SCHIETTA FEDE TENERISSIMO
TI PIACCIA LIETAMENTE RIVEDERE
BENIGNO IL CIELO TI PROSPERI E FORTUNI (sic)


Fu cantato il Te Deum, e ricevuta la benedizione, il re si recò all’antico palazzo del Priorato, dov’è oggi la sede del prefetto e vi ricevè le deputazioni, venute da quasi tutti i comuni della provincia, ammettendole al baciamano. Si recò poi a vedere i nuovi lavori di fortificazione nella cittadella e al forte del Salvatore, e dopo pranzo andò al teatro, dove c’era spettacolo in suo onore. Nel teatro furono sparse migliaia di cartellini con questi motti: La riconoscenza dei popoli è il trionfo della sovranità — Chi più riconoscente all’augusto Ferdinando II del popolo di Messina? E udite quest’altro: Ci ridonaste l’ordine e la pace — Sire — Ora ci concedete grazia novella — La presenza vostra augusta — I nostri voti son paghi — Viva il Trajano delle due Sicilie. Si rappresentò un’allegoria musicale, scritta da Felice Bisazza, messinese, cantore d’occasione e borbonico sfegatato. L’allegoria aveva per titolo: Il voto pubblico. Erano interlocutori: Messina, il genio dell’industria, il genio dell’ilarità, con cori di donzelle e di giovani. L’argomento era la venuta del re, tanto sospirata. La musica fu composta dal maestro Laudamo e un coro cantava:

Pari ad angel, che sta nelle sfere,
Invocato da mille preghiere,
Benedetto dal labbro di Dio,
A noi vieni più Padre che Re.
Te sospira con lungo desio
Quella terra, che culla Ti diè.
Di mille formasi
Un voto solo,
Tutti ti gridano
Vieni, o Signor.
Quel lungo gemito
Cangia in consuolo.
Corona i palpiti
Di un santo amor!