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Il Re N. S. esternò anche il desiderio che la Chiesa fosse convenevolmente ingrandita e decorata.

Da ultimo la prelodata M. S. nel congedarsi la mattina del 18 m’impose di manifestare all’ordine del giorno il suo pieno contento, così per le varie officine dello Stabilimento, come per la tenuta di questa truppa di artiglieria.


La sera del 18 si giunse a Monteleone, senza fermarsi a Pizzo. Erano colà convenuti i vescovi di Mileto, di Tropea e di Squillace. Questi vescovi, il sindaco Mannella, quasi tutta la popolazione con le confraternite, precedute dai rispettivi stendardi, uscirono fuori del paese ad incontrare il Re, mentre le campane delle chiese suonavano a festa. All’ingresso era stato costruito un arco trionfale, e piccole bandiere bianche coi gigli d’oro erano agitate dalla folla che ingombrava la via dei Forgiari. Attraversata questa via, il Re e i principi infilarono il Corso e andarono direttamente al duomo, dove furono ricevuti dal Capitolo, che cantò il Te Deum. Il Re restò seduto sul trono, coperto con gli antichi arazzi della famiglia Dominelli.

Dal duomo si andò alla Sottointendenza, addobbata con mobili mandati da casa Gagliardi, anzi il sottointendente De Nava, ignorando che il Re portasse seco, in apposito furgone, tutto ciò che serviva alla sua cucina particolare, richiese il Gagliardi anche di commestibili, ma il vecchio marchese rispose che questi egli li dava in casa propria e se ne faceva responsabile, ma fuori di casa, no. Il De Nava era zio del presente deputato. Dalle finestre il re assistette allo spettacolo di fuochi pirotecnici e alle clamorose dimostrazioni dei cittadini di Monteleone. Il giorno appresso, visitò il collegio Vibonese, dove fin dall’aprile di quell’anno insegnavano i padri delle Scuole Pie. Ferdinando II non volle sedere sul trono, e rimase familiarmente in mezzo agli alunni, i quali, sull’aria del coro dei Lombardi, cantarono un inno, le cui strofe finivano col ritornello:

Di Fernando la fronte sublime
cingi, o Nume, di bella corona.

Per ricordare l’avvenimento, vennero murate sull’ingresso del collegio due lapidi in marmo, le quali nel 1860 furono stupidamente coperte e poi smurate.