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il Piemonte si era apertamente messo a capo della rivoluzione italiana per resistere all’Austria; l’imperatore Napoleone faceva partir per l’Italia i primi tre corpi d’armata, e disponendosi i scendervi egli stesso, per prendere il comando di tutto l’esercito, Ferdinando II aveva fede nella forza dell’Austria, che credeva sarebbe stata aiutata dalla Russia e dalla Prussia, ma confidava ancor più nell’intangibilità degli Stati della Chiesa. Si cercava di tenergli occulte, o di comunicargli con arte, le notizie le quali potevano fargli penosa impressione. Questo incarico era affidato alla regina che, veramente, durante tutta la malattia non poteva dar prova di maggiore abnegazione e di maggio: affetto verso il marito. Molte notti vegliava accanto al letto di lui, dormicchiando sopra una poltrona, o buttata sopra un canapè, o pregando con lui, inginocchio, nè egli voleva che si allontanasse, chiaramente mostrando di avere soltanto in lei uni fiducia senza limite.
Le notizie politiche più gravi venivano quindi comunicate alla regina. Nella notte dal 27 al 28 aprile, giunse il dispaccio, che annunciava la partenza da Firenze del granduca e della sua famiglia, in seguito a un tentativo di sedizione da parte delle truppe. Incredibile lo sgomento che la notizia Corte. La famiglia reale di Napoli era molto affezionata alla granducale di Toscana, per vincoli stretti di parentela; e il granduca Leopoldo II, come ho già detto, veniva chiamato dai suoi nipoti, napolitanamente, Zì Popò di Firenze, per distinguerlo da Zì Popò di Napoli, ch’era il conte di Siracusa. La mattina del 23 aprile, il principe ereditario entra nella camera del padre e, tutto spaventato, gli dice: “Papà, hanno cacciato zì Popò.„ Quale zì Popò', domanda il re stranamente sorpreso. “Zi Popò di Toscana„ risponde il principe. 11 re gli chiedo altre notizie che Francesco non sa dare; le chiede alla regina che cerca nasconderle, e s’imbarazza. “Chiamatemi Carafa», grida allora, raccogliendo tutte le sue forze e dando un’ultima prova della sua energia, Carafa, quasi balbettando, lo informa di quanto era avvenuto, mostrandogli il dispaccio l’incaricato di affari a Firenze. Si narra che leggendo come il granduca avesse lasciato Firenze, solo per il sospetto pauroso di una sedizione militare, egli esclamasse: “Imbecille, è andato, e non è degno di ritornarvi„.
Quegli ultimi giorni di aprile sino alla morte, furono il suo