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L’uscita del pus recò qualche sollievo all’infermo e confortò le speranze della regina nella guarigione, Ma il miglioramento non durò a lungo, e dopo cinque giorni dal secondo taglio, si manifestarono i primi segni, i più caratteristici, dell’infezione purulenta in tutto l’organismo. Il morbo invadeva organi esterni ed interni; congestioni polmonari ed ascessi sotto l’ascella destra e in altre parti del corpo si succedevano, senza che gli umani rimedii avessero efficacia alcuna. Correttivi e ricostituenti non servivano a nulla, e i dottori, sconfortati e disperanti, dichiararono alla regina e al principe ereditario l’impossibilità, a cui si vedevano ridotti, e consigliarono di chiamare altri a consulto. Proposero i medici Lanza e Prudente e il chirurgo Palasciano. Di certo, chiamando anche questi, non vi era grande capacità medica e chirurgica messa da parte. E Lanza era tornato, tre anni prima, dall’esilio. Non si sarebbe voluto lui, noto per le sue idee liberali; ma la gravità del caso s’imponeva e fu deciso chiamarlo. Volle però la Regina che nessuno dei tre dovesse vedere l’infermo: avrebbero manifestato il proprio parere su relazione del Ramaglia. Il Lanza mal patì il capriccioso divieto e, vivace e franco com’era, non celò il suo malcontento, soggiungendo che non era il caso di farlo andare a Caserta, perchè anche a Napoli avrebbe potuto leggere una relazione e dare i! suo parere. Udita la relazione, borbottò ironicamente: “Il Re starà bene, fatelo nutrire di latte di donna„. Rosati non potè tenersi dal ridere, e il Lanza, a lui rivolto, disse: “Innanzi a Vincenzio Lanza (così egli diceva, e non Vincenzo) non si ride. Ferdinando II morirà dopo aver contemplato il suo cadavere; non c’è più rimedio; la furiasi si svilupperà subito, in seguito alla piemia„. Tornato a Napoli, raccontò ai più intimi questi incidenti, e alludendo alla grazia ottenuta dal re di tornare in patria, aggiunse sorridendo: “Io ebbi da lui un passaporto e son ritornato, ma con quello rilasciatogli non vi è speranza di ritorno„. Con Lanza si trovarono d’accordo Prudente e Palasciano, anzi tutti quanti. Oramai la scienza aveva detta l’ultima parola e non v’era più speranza di salvezza: la materia, raccolta nella regione ileo-femorale destra, era via via irreparabilmente assorbita dall’organismo e formava depositi purulenti nei polmoni, negl’intestini, nelle glandule sottoaseeìlari principalmente, donde poi