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lern. Alloggiarono all’albergo d’Inghilterra alla Riviera, e visitarono i dintorni, fermandosi a Pozzuoli e a Baja; videro il Museo e il grande archivio, dove furono ricevuti da Bianchiti e dal principe di Belmonte, che ne era il sopraintendente. Rimasero incantanti del soggiorno di Napoli. Nonostante il loro stretto incognito, Ferdinando II volle che il duca e la duchessa di Calabria andassero a salutarli a suo nome, due giorni dopo l’arrivo, il primo di aprile. Vi andarono, e la principessa ereditaria apparve enchantée di quella seconda gita a Napoli. I Sovrani di Prussia resero la visita alla famiglia reale a Caserta, ma non videro il re. Il duca di Calabria e i conti di Trani e di Caserta li ricevettero alla stazione, e alla regina e al principe ereditario essi non risparmiarono cordiali dichiarazioni della parte che prendevano al dolore della famiglia reale, benaugurando per la prossima guarigione del re. Al duca di Calabria poi Federico Guglielmo diè incarico di rassicurare Ferdinando II, che la pace non sarebbe turbata, e che tutto lasciava sperare un lungo periodo dì tranquillità. Rinnovati gli augurii e le cortesie, tornarono a Napoli, riaccompagnati sino alla stazione di Caserta dai principi e dalla duchessa di Calabria, che ormai rappresentava la sua parte ufficiale, ancora con qualche imbarazzo, ma non senza grazia. Tante assicurazioni di pace tranquillavano assai poco il re che le vedeva distrutte dai fatti, i quali rapidamente si succedevano.

Il 17 aprile, i granduchi di Russia lasciarono Napoli e il giorno dopo partirono i sovrani di Prussia. In Europa gli armamenti continuavano, e il 16 aprile l’Austria poneva il disarmo del Piemonte come condizione imprescindibile per il Congresso. Il giorno 20 si mobilizzava l’esercito francese; il 27 accadeva la rivoluzione militare a Firenze, con la partenza del granduca, e il 29, il conte Giulay lanciava ai popoli sardi da Milano quel celebre proclama, col quale si affermava di non portar “guerra ai popoli nè alle nazioni, ma a un partito prevaricatore, che sotto il manto specioso di libertà avrebbe finito per toglierla ad ognuno, se il Dio dell’esercito nostro non fosse anche il Dio della giustizia„. La procella si addensava inesorabile, e Ferdinando II procedeva oramai verso la sua fine.