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il cammino incontrando rarissime persone, e si giunse al porto nuovo, dove era stato costruito un piccolo ponte sino alla nave.
Il letto del re venne imbracato, sospeso e poi ammainato sotto coperta. La manovra avendo procurato un lieve movimento ondulatorio del letto, il re esclamò: “Vuie me facète cadè„,1 e quando la barella venne deposta sotto coperta, aggiunse: “Questa è l’anticamera della tomba„. Poi si congedò dall’intendente e dal sindaco, incaricandoli di ringraziare le autorità e i cittadini: “Manifestate a tutti — egli disse — il mio compiacimento e fate a tutti sapere, che se io non era alle feste con la persona v’era sempre col cuore„. Dal segretario generale De Filippi tolse speciale commiato colle parole: “Segretario generò, te so servo„. Pochi minuti dopo fu tirato dal Fulminante un colpo di cannone. Era il segnale che la nave levava l’ancora, ed al quale risposero le salve del castello. Le truppe schierate cominciarono a muoversi per tornare in caserma, e tutti capirono che la Corte si era imbarcata al porto nuovo. Fu una canzonatura ben condotta, che provocò anche dei fischi ad alcuni zelanti in giamberga, che tornavano dal vecchio porto con un palmo di naso.
Un’ora dopo che il Fulminante si era messo in rotta, il re fece chiamare l’ammiraglio Roberti, e da lui volle sapere chi fosse il primo chirurgo di bordo. Saputo ch’era un giovane molto bravo, di nome Cristoforo Capone, ordinò che fosse andato da lui. Al colloquio non fu presente alcuno. Il re accolse il Capone con queste parole: “Considera che io sono un marinaio, osservami e curami come faresti con un marinaio, ma dimmi la verità„ . Capone l’osservò, e tastando presso l’inguine, dove l’infermo accusava più acuto dolore, il re gettò un grido. La diagnosi non fu un mistero per il giovane chirurgo, il quale con tutta sincerità disse al Re trattarsi di una suppurazione presso l’inguine; essere la marcia, raccolta in quel punto, la causa delle sofferenze e della febbre; doversi subito procedere a una piccola incisione. Come senti parlare di suppurazione e di taglio, Ferdinando II si ricordò di quanto gli aveva detto il dottor Longo e diè in ismanie. Ramaglia e Leone, chiamati subito, riconobbero senza altro mistero l’esattezza della diagnosi, ma Ramaglia opinò che non ai dovesse eseguire l’operazione a bordo, e che, ap-
- ↑ Voi mi fate cadere.