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glia si mostrò titubante. Uscendo dalle sale dell’Intendenza, il duca di Calabria raggiunse il Longo e gli disse: “Don Niccola, io non capisco niente; questa opposizione all’operazione mi scoraggia, il morbo cammina e le sofferenze aumentano. Io fido su di voi. Il re ha per voi molta deferenza, vi ascolta volentieri, parlategli chiaro, ditegli che l’operazione è necessaria e vi si deve procedere senza indugio». Il Longo promise che ne avrebbe parlato al re. Continuando intanto più fieri i dolori, rendendosi addirittura tormentose le facoltà digestive e crescendo l’irrequietezza dell’infermo, Ramaglia e Leone, di accordo con la regina, lo pregarono insistentemente di cambiar camera, anche per rinnovar l’aria; e ne scelsero un’altra esposta meglio tra mezzogiorno e ponente, la camera con due ampii balconi che guarda la presente piazza Massari. Ferdinando II vi si rifiutò da principio, ma alla fine parve piegarsi. Raffaele e Vincenzo Crisouolo, i quali erano giunti a Bari da qualche giorno e quasi non si toglievano dai fianchi del re, con l’aiuto di due marinai da loro dipendenti e con l’assistenza della regina e dei medici, sollevarono la branda dell’infermo. Nell’attraversare il salone dov’era una sua statua in divisa militare, Ferdinando II la guardò, e alludendo alle sue deperite condizioni, malinconicamente esclamò: “Ecco due statue„. Ma giunto che fu nella nuova camera, si diè a gridare che non gli piaceva, che c’era troppa luce, tropp’aria, e ordinò che lo riportassero in quella di prima. Nel ripassare per il salone, rivide la statua, e salutandola con la mano, disse con grande tristezza: Addio Ferdinando III». Tre giorni dopo, tornò il Longo a visitare il re, e udito che il risolvente, a base di mercurio, non aveva prodotto effetto, insistette nella necessità di una piccola operazione. Le frizioni di mercurio erano fatte dalla regina. Il re si scosse alle parole di Longo, anzi parve stranamente spaventato. Il coraggioso dottore non si perdè d’animo e soggiunse: “Maestà, la sventura vostra in questa contingenza è l’essere re. Se foste un infelice gettato in un ospedale, a quest’ora sareste probabilmente guarito„, Gli astanti erano stupiti da così brusca franchezza, e solo il principe ereditario approvava col capo. Il re, riavutosi dalla prima impressione, rispose: “Don Niccola, mo me trovo sotto; facile chello che vulite„. Si convenne allora per l’operazione. Si propose di chiamare un chirurgo da Napoli, ma