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sua moglie, che aveva lasciata puerpera, udì divotamente la messa, detta da monsignor Berlingieri, vescovo di Nicastro, e fece molte grazie, anche a condannati politici. Commutò a Silvio Spaventa, a Saverio Barbarisi, a Dardano e ai fratelli Leanza e Palumbo la pena di morte nell’ergastolo, e ad Antonio Scialoja la reclusione in esilio perpetuo dal Regno. Distribuì molte elemosine, e prendendo commiato, verso mezzogiorno, dai frati cappuccini, consegnò al guardiano cento ducati per i bisogni del convento. Acclamato dalla popolazione e seguito da un drappello di guardie d’onore e da uno squadrone di lancieri, partì col proposito di arrivare la sera a Mongiana, o almeno a Serra San Bruno. Fermandosi a Marcellinara per il cambio dei cavalli, gli si presentò il barone Saverio Sanseverino capo urbano, che portava la barba unita sotto la gola, come il Musitano, ed aveva in moglie una figliuola del marchese D’Ippolito di Nicastro, condannato per i fatti del 1848. Si era fatto credere al Re che il Sanseverino fosse proclive alle prepotenze, usurpatore di demanii e liberale. E però, come se lo vide dinanzi, lo investi con queste parole: "Voi grandi proprietari calabresi spingete con gli atti e le maniere le popolazioni al comunismo, il quale porterà il vostro danno, non quello della Corona. Va subito a tagliarti questa barba„. Gli intimò l’arresto, ma poi ordinò che andasse a domicilio forzoso in Catanzaro, dove lo fece rimanere più di un anno. Furono sequestrate tutte le armi di casa Sanseverino, non esclusi i fucili da caccia. Si scoprì poi di essersi caduto in un equivoco, perchè il Sanseverino era devotissimo al Re, e non fu poco addolorato che questi l’avesse creduto liberale. Era padre del presente deputato di Catanzaro.

Al ponte dell’Angitola, dove si arrivò poco prima del tramonto, si svolse uno degl’incidenti più caratteristici di quel viaggio. Vi erano convenute le autorità e le rappresentanze del circondario di Monteleone, col sottointendente De Nava, al quale il re disse bonariamente: "Don Peppì, come stai?„ Al marchese Ferdinandino Gagliardi che, a nome del padre, andò a ripetergli l’invito di voler accettare la loro ospitalità a Monteleone, come le altre volte, rispose rifiutando. E ordinò che si proseguisse per Mongiana. Sarebbe stato un grave errore, poichè era tardi e la strada carrozzabile arrivava fino a Serra San Bruno. L’Alcalà, che si trovava presente con una rappresentanza di Pizzo, lo