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ciasse, intonò il Veni Creator Spiritus. Ramaglia fece una lunga relazione, ma ai tre nuovi medici dichiarò che loro non era concesso di visitare il re, per non procurargli penose emozioni. Tutti approvarono la diagnosi, che fu criticata più tardi, come quella che non aveva tenuto abbastanza conto dei fenomeni, che richiedevano la pronta mano del chirurgo. Si rimproverò a Ramaglia di non aver prevenuto il pericolo di un processo interno di suppurazione, nè intuito che la febbre era sostenuta dalla infiammazione dei muscoli posti in fondo e nella parte posteriore del bacino, per effetto degli sforzi enormi, che il Re aveva fatto, salendo prima su in Ariano e, poi su per l’erta, non meno faticosa di Camporeale, fra il ghiaccio della strada e il nevischio che cadeva abbondante. Il Longo, il Chiaia e il Ferrara andarono via dal consulto malcontenti e quasi mortificati dì non aver veduto l’infermo, non senza comunicarsi a vicenda i loro dubbii circa l’esattezza della diagnosi del Ramaglia, che pure avevano approvata.
I principi non parevano impensieriti della malattia del padre anche perchè s’imponeva loro di prender parte alle feste, per non accrescere le inquietudini e le prevenzioni. La sera del giorno 4, in cui maggiormente si accentuò il peggioramento, e giunse Leone da Lecce, il duca e la duchessa di Calabria, i principi, gli arciduchi d’Austria coi loro seguiti e tutti i personaggi ufficiali assistettero allo spettacolo, dato in loro onore al teatro Piccinni, illuminato a cera, con festoni di fiori e ghirlande e riboccante di spettatori. Le signore di Bari vi erano tutte, in acconciature vistose. Alle prime file della platea sedevano gli ufficiali superiori e le guardie d’onore, in grande uniforme, mentre i granatieri vi prestavano servizio d’onore. L’aspetto della sala era semplicemente magnifico. Tutti gli sguardi erano diretti alla duchessa di Calabria, che indossava uno splendido abito bianco, con ampia crinolina e portava al collo e sulla testa splendidi diamanti. Quando entrò nel palco reale, sorridente e un po’ impacciata, tutti si levarono in piedi e fu un applauso unanime, al quale ella rispose ringraziando più confusa che commossa. Un coro numeroso di signorine e di giovani dilettanti cantò un inno, composto anche esso dal Patroni e musicato dal De Giosa. Gli augusti personaggi si trattennero quasi sino alla fine, e gli stessi applausi, che li avevano salutati all’arrivo, li