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mati dalle grida festive della moltitudine si dovettero ripetutamente mostrare.

Francesco non entrava nei panni dalla gioia, ma appariva impacciato come un collegiale. Il suo volto adorno di due baffetti neri nascenti, non era atteggiato ad altro sentimento che a quello d’una puerile contentezza. Ritiratisi dal balcone, il duca e la duchessa di Calabria, con Maria Teresa e i principi andarono nella camera del re. Fu commovente l’incontro fu quella giovane creatura, fiorente di salute e di brio, e il Sovrano, invecchiato dal male e sofferentissimo. Ferdinando II sì era levato a sedere sul letto; abbracciò la nuora e la tenne, qualche minuto, così abbracciata, piangendo per la commozione. Chiese notizie del viaggio e si scusò di averla fatta trattenere tanti giorni a Vienna. Conversarono insieme più di mezz’ora, con grande diletto tutt’e due, e sin da quel momento si stabilì, fra suocero e nuora, una simpatia vicendevole. Uscita dalla camera del re, la sposa si ritirò nel suo piccolo appartamento, per apparecchiarsi alla solenne cerimonia della benedizione nuziale, fissata per le due. Maria Teresa l’accompagnò nelle stanze a lei destinate, che erano le due a destra del salone con l’altra più piccola, quella d’angolo, trasformata in camera da toilette. Mattia da donna Nina Rizzo, mutò l’abito da viaggio in una ricchissima veste bianca, guarnita di merletti preziosi e con grande crinolina, calzò lunghi guanti bianchi e si attaccò al capo un tralcio di fiori d’arancio, al quale era raccomandato un lungo velo, che nascondeva i suoi splendidi capelli e scendeva sino a terra.


Alle due tutto era pronto per la cerimonia. Nel salone del palazzo era stato innalzato un altare con l’immagine della Vergine Immacolata, e un trono in velluto ricamato in oro per i Sovrani. Ai lati del trono, le sedie per i principi e gli arciduchi. Le autorità, i vescovi, i personaggi ufficiali stavano tutti al loro posto. Solenne il momento, ma non tutti eran composti a gravità, anzi molti ridevano, studiandosi di non farsi scorgere. Che cos’era avvenuto? L’irrequieto conte di Caserta aveva trovato modo di appiccare sull’uniforme di un alto funzionario una coda dì carta, e questo spettacolo, naturalmente, suscitava il riso di tutti. Nessuno osava togliere la coda, e fu un gentiluomo, che, accortosene, abilmente la strappò senza che quegli