Pagina:La fine di un regno, parte I, 1909.djvu/493


— 471 —

natieri della guardia reale, due squadroni di dragoni, nonchè cacciatori e gendarmi a cavallo. Rinascevano gli entusiasmi, che, per qualche giorno, lo stato di salute del sovrano aveva sopiti.


Il dì seguente, altre feste per l’arrivo degli arciduchi Guglielmo e Ranieri e dell’arciduchessa Maria. L’intendente, per ordine del re, andò a incontrarli a Giovinazzo. Gli arciduchi erano arrivati a Napoli, a bordo dell’Elisabetta, il 30 gennaio, e andarono subito a salutare la famiglia regnante di Toscana, la quale vi era giunta il 22, prendendo alloggio alla Foresteria, per assistere alle feste nuziali, non ostante l’ansia in cui viveva per la malattia della giovane arciduchessa Anna, moglie del principe ereditario Ferdinando. La famiglia granducale era quasi al completo. Oltre al granduca Leopoldo, alla granduchessa Maria Antonia, sorella del re, all’arciduca e all’arciduchessa ereditarii, all’arciduca Carlo e all’arciduchessa Maria Luisa, ultimi dei sei figliuoli di Leopoldo II, c’era un seguito numeroso. L’arciduchessa Anna, di 23 anni, sorella minore della duchessa di Genova, infermatasi a Firenze, era curata dai medici fiorentini Capecchi e Del Punta. Il granduca aveva chiesto al re un buon medico napoletano, e il re aveva mandato a Firenze don Franco Rosati, nel quale riponeva una fiducia assai maggiore che nel Ramaglia. Sotto le cure del Rosati la principessa parve guarita; ma quando la famiglia granducale venne a Napoli, il male riapparve e, in breve, degenerò in tisi. La curò anche in Napoli il Rosati, che abitava nello stesso palazzo della Foresteria, e si chiamò pure da Firenze il Del Punta, che giunse solo in tempo per firmare col Rosati gli ultimi bollettini. Morì il 10 febbraio; e, percossa da si grave sciagura, la famiglia non ebbe più l’animo di rimanere a Napoli. Fatto trasportare, due giorni dopo la morte, il cadavere della povera arciduchessa a Firenze, dove trovò sepoltura in San Lorenzo, l’addolorata famiglia partì, la mattina del 21 febbraio, imbarcandosi per Livorno. I napoletani restarono maravigliati della semplicità della Corte toscana. Il Granduca, noto nella Corte col nome di Popò di Toscana, per distinguerlo da Popò, conte di Siracusa; e l’uno e l’altro chiamati familiarmente dai figliuoli di Ferdinando II, zì Popò, faceva lunghe passeggiate a piedi, entrava nei caffè, pagando per lo più una piastra e rifiutando il resto. Cosi avvenne, che