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giandosi al braooio del ricevitore generale Daspuro, cui disse, con accento triste: “Ricevitò, so f... Me sent’a capa comm’a nu trommone„.1 Circa le 10, i Reali lasciarono Lecce, fra gli applausi della folla, che li accompagnò sin fuori le mura. I cocchi reali furon poi seguiti, per alcune miglia, dalle carrozze della nobiltà leccese. E la via da Lecce a Bari fu un nuovo cammino trionfale. Campi, Trepuzzi, Squinzano, San Pier Vernotico e i paesi vicini avevano innalzati i soliti archi con iscrizioni; e accanto ad ogni arco si trovavano le rappresentanze municipali e le guardie urbane con bandiere. Un’iscrizione di Campi diceva: La generazione de’ giusti da Dio benedetta — che stirpe di San Luigi — non cesserà sino alla fine del mondo — Maria Teresa Regina ornamento del secolo nostro — per lapidi e la purità della vita — sarà sempre la nostra madre — e la nostra mediatrice di grazie — presso il trono del Real Consorte.

Ma dimostrazioni più clamorose aveva preparate Brindisi. I brindisini eran tutti fuori dell’abitato, con il sindaco Pietro Consiglio, col sottointendente Mastroserio, che, zoppo per cronica infermità, aveva fama di zelantissimo ed era temuto, si diceva, persino dal Sozi Carafa; nonchè i sindaci, decurioni e guardie d’onore del circondario. All’ingresso della città, era stato rizzato un arco altissimo, sul quale si leggeva questa curiosa epigrafe: Al benamato Sovrano — Restitutore della sua salute — Brindisi riconoscente — de’ suoi figli la vita — «consacra. Attorno all’arco stava schierato un battaglione de’ cacciatori, con la banda municipale. I sovrani si recarono direttamente al Duomo, dove furono ricevuti dall’arcivescovo monsignor Raffaele Ferrigno, buona e gioviale persona, che per la circostanza aveva indossato il piviale fin dalle prime ore del mattino e ai dava gran moto; dall’arcidiacono Tarantini, dotto nomo, che il re già conosceva e dal capitolo tutto. Attraversarono l’ampia cattedrale, in mezzo a due fila di seminaristi e di canonici, dietro ai quali stavano soldati e gendarmi, e poi una turba di popolo. Il re si moveva con difficoltà e sembrava che soffrisse molto. Avvicinatosi al presbiterio, notò, più avanti dì tutti, un uomo completamente calvo; nè sapendo spiegarsene la presenza, diè ordine al colonnello Latour di farlo allontanare, chi disse per timore di jettatura, chi di un attentato. Non si seppe mai il

  1. Ricevitore, son rovinato; mi sento la testa come un trombone.