simo. Al ritorno, l’artista Antonio Maccagnani gli offrì una statuetta di Sant’Oronzo in cartapesta. Ferdinando gradì il dono e ordinò al maestro di casa di portarla nella sua camera da letto; anzi, per maggior sicurezza, lo seguì egli stesso per indicargli il posto preciso, dove la voleva collocata. Nell’attraversare il gran salone, il cui pavimento era incerato, raccomandò al Martello di guardarsi dal ruzzolare, temendo che la statuetta avesse a guastarsi. La sera di quel giorno, il Ramaglia consigliò la regina ad affrettare la partenza. Il re stava bensì meglio, ma sentiva una grande prostrazione di forze, e i due medici non erano veramente tranquilli sulle condizioni di lui, anzi prevedevano una ricaduta e volevano evitare il pericolo, che questa avvenisse in un punto estremo del Regno. All’una pomeridiana del giorno appresso, la famiglia reale si recò in carrozza, con tutto il seguito, a visitare i vicini comuni di San Cesario e di Lequile. La visita era impreveduta e nulla vi si trovò preparato. Tornata a Lecce, si recò al duomo, ricevuta dal vescovo, dal capitolo, sotto un ricco baldacchino, sorretto dai canonici. Dopo la benedizione, pregò sull’altare di Sant’Oronzo; e fatto un giro intorno le mura, ritornò all’Intendenza. La partenza fu fissata per il domani. Se alcuni paesi della provincia rimanevano delusi nelle loro speranze dì vedere il re, dopo aver preparati archi e trofei, la salute del sovrano imponeva dì passar sopra a questi riguardi. Fra le città deluse va ricordata Gallipoli, che aveva fatto preparativi straordinarii e apparecchiata una ricca lancia, per condurre il re e la famiglia reale a vedere i lavori del porto. Le iscrizioni di Gallipoli erano addirittura secentesche, e le aveva dettate il giovane sottointendente Andrea Calenda, che fu più tardi prefetto e senatore del regno d’Italia. Uditene una, che, a carattere cubitali, si leggeva sulla banchina del porto: Qui — allo schermo della sacra parola del re — muti tacciono i venti — e nel pietoso seno della misericordia — dileguasi il freno dell’uragano — ancora una parola — e il truce demone della tempesta — abbandonerà per sempre — le rive Gallipoline.1
- ↑ Altri particolari circa la dimora di Ferdinando II a Lecce, particolari d’importanza tutta locale, sono riferiti nell’interessante libro di Niccola Bernardini, che vide la luce a Lecce nel 1895, dal titolo: Ferdinando Il a Lecce.