Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
— 456 — |
Leone l’aveva definita reumatico-catarrale, con complicazione gastrica; ma il Ramaglia insistè per la biliosa, perché egli sapeva, aggiunse, a quali dispiaceri fosse andato soggetto il re. Dopo la visita, Ramaglia confermò la sua diagnosi, ma forse capi che il osso era più grave di quanto avesse supposto. E poiché si era meravigliato di non vedere presso il re il valoroso dottor D’Arpe, suo amicissimo, volle andare a vederlo e gli ohiese: “E non ti chiamarono per il re infermo?„ — “Non sono il medico del tempo„, rispose il D’Arpe. “Curiamo la febbre, disse il Ramaglia, ma temo che lo sfacelo andrà più oltre„; e seguitò a curare la febbre, la quale dai sintomi, che si manifestarono posteriormente, apparve causata da quell’ascesso all’inguine, che, non curato da principio, avvelenò via via il sangue e cagionò la morte del re. Il Ramaglia aveva tutto il tipo del medico cortigiano: epperò cercava innanzi tutto d’illudere sè stesso circa la gravità del male, se pure non si voglia ritenere quel che molti ritennero fin d’allora, ch’egli non avesse capita la malattia, e per non confessarlo, dichiarasse più tardi immaginarii i primi dubbi del dottor Niccola Longo. Era loquacissimo, sempre disposto al riso, alla barzelletta e all’adulazione. I maligni dicevano che, dopo il desinare, rifiutasse di far visite.
La notizia della malattia del re, nonostante l’assoluto divieto di parlarne, si diffuse rapidamente nella giornata del 16, perchè, ricorrendo in quel giorno il natalizio del duca di Calabria, la Corte non prese parte alle feste preparate. La mattina s distribuirono ventiquattro letti e ottanta camicie ai poveri, per il valore di trecento ducati e cento ducati furono largiti in elemosine. Suonarono le bande nelle piazze e a mezzogiorno si cantò in duomo un solenne Te Deum, con l’intervento delle autorità in grande uniforme; ma l’assenza dei principi contribuì ad accreditare le notizie allarmanti circa la salute del re. A fine di attenuare questa impressione, si volle che nei giorni seguenti continuassero le feste, e i tre principi, scortati da dragoni a cavallo e da guardie d’onore, facessero lunghe passeggiate in camma sino ai paeselli intorno Lecce, e uscissero a piedi per la città, visitando gli stabilimenti e gl’istituti pii. In una di queste pw saggiate, un operaio di Gaballino chiese al duca di Calabria un ricordo, e questi gli fece dare una piastra d’argento. Un altro