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sul letto, rimboccando la manica destra della camicia da notte, una camicia a righe bianche e azzurre. Poi entrarono i tre principi che gli baciarono la mano, dicendo; “Buon giorno, papà; come state?„ e si allinearono come tre soldati accanto al letto. Ferdinando II chiese al Marotta se avesse portata una lancetta nuova, e poichè quegli rispose di no, volle che lavasse quella, che aveva, accuratamente. Allora entrarono i servi con l’occorrente per il salasso. Il re scese dal letto, si avvicinò alla immagini che stavano sopra il cassettone e, inchinato il capo, si unse la fronte con l’olio delle lampade che ardevano avanti ad esse. Il Marotta compì, con molta cura, il suo ufficio e al primo zampillo di sangue, un sangue di color rosso cupo, quasi nero, gridò; “Salute, Maestà„. Due servi in ginocchio reggevano la catinella. Compiuto il salasso, il re chiese; “Quanto me n’avite cacciato? — “Dicci once; questa è la regola, Maestà„, rispose il Marotta. E il re, stringendogli il braccio: “Grazie, masto; m’avite data ’a salute; ’o signore v’ ’o renne, figlio mio„.1 Il duca di Calabria porse il taffetà per rimarginate la ferita. Al Marotta furon date trenta piastre per il suo servizio, ma il salasso non restituì punto il benessere al re, anzi il male si inasprì. Lo tormentavano con maggiore insistenza la tosse, il vomito e il peso allo stomaco, tanto che il dottor Leone, credendo che si trattasse di congestione polmonare con complicazione gastrica, prescrisse dell’acetato ammoniacale.


In città si sapeva che Ferdinando II era indisposto, ma nessuno immaginava la gravità del caso, perchè alle guardie d’onore e a quanti prestavano servizio presso i sovrani, si erano impartiti ordini rigorosi di serbare il silenzio. Si accreditava la voce che tutto dipendesse dai disagi del viaggio, dalla rigidità della stagione e che si trattasse di lieve catarro. Il re non voleva medicine, dicendo che lo stomaco non gli permetteva di prenderne. Per fargli bere l’acetato ammoniacale e per togliergli dall’animo ogni sospetto, il dottor Leone andò egli stesso alla farmacia Greco, insieme col maestro di casa Martello, che dirigeva il servizio all’Intendenza e se ne fece preparare dal farmacista due pozioni in bicchieri distinti. Tornato dal re, gli

  1. Grazie maestro; m’avete data la salute: il Signore ve ne renda merito, figlio mio.