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varsi in piedi quattro o cinque volte, credendo che egli andasse via. Alla fine del primo atto si alzò veramente. Era stanchissimo; la notte avanti non aveva dormito; in teatro aveva sentito più forti i brividi di freddo. All’Intendenza ebbe luogo una sontuosa cena, dopo che dal balcone i sovrani ebbero veduti i fuochi artificiali, che chiusero le feste di quel giorno; ultime feste! Alle undici il re si mise a letto. La partenza per Bari era fissata la mattina seguente, alle nove e mezzo.


Nella notte il re ebbe il primo assalto del male. Crebbe il dolore ai lombi e un senso di oppressione gl’impedì di dormire. Aveva la febbre. All’alba (era di sabato) l’intendente fu chiamato in tutta fretta dalla regina; ed entrato nell’appartamento reale, apprese in anticamera il malessere e la insonnia del sovrano. Dopo un momento comparve la regina, che lo richiese di un medico. “Ne abbiamo due, Maestà, rispose Sozi Carafa, il D’Arpe e il Leone; di maggior grido e valore il primo, ma vecchio liberale; l’altro più giovane, anche liberale, ma uomo d’ordine„. “«Si chiami il secondo„, ordinò la regina. E fu chiamato il dottor Giuseppe Leone, di famiglia piuttosto liberale, bel giovane, intelligente e assai stimato nella sua professione. Non vide subito il re, ma dai sintomi della malattia, che la regina gli espose, giudicò impossibile la partenza, e fu risoluto di non partire. Le rappresentanze, venute per ossequiare i sovrani, insieme con le rispettive bande musicali, formavano una folla, che assordava la città con grida ed evviva e occupavano tutto l’atrio del palazzo e la spianata tra il palazzo e il giardino pubblico. Nella giornata il re si aggravò, nò migliorò durante la notte seguente. Era cresciuta la febbre, sentiva una gravezza al capo e un peso allo stomaco; diventati più tormentosi i dolori ai lombi. Volle di suo oapo cavarsi sangue. Fu mandato a chiamare il miglior flebotomo di Lecce, don Antonio Marotta. Era il 16 gennaio.

II Marotta, sorpreso dell’invito, fattogli da un gendarme, corse all’Intendenza. Il primo che vide fu Sozi Carafa, il quale per dargli coraggio, gli disse: “Marotta, come salassi me, salassa Sua Maestà„. Indi entrò nella camera del re, dove già stavano la regina e il dottor Leone. All’inchino del Marotta, Ferdinando II rispose: “Bongiorno masto„, e si levò a sedere