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pubblica a quanti volevano chiedergli grazie, e furono infiniti. Il re era in piedi nel grande salone dell’Intendenza, la regina gli sedeva a destra, e intorno i principi. Alle loro spalle, e a qualche distanza stavano il principe e la principessa della Scaletta e gli altri dignitarii; alla porta del salone, l’intendente. Sì recarono ad ossequiare i sovrani, prima degli altri, oltre a monsignor Caputo, monsignor Vetta, vescovo di Nardò, monsignor Francesco Bruni, vescovo di Ugento, quasi tutti i signori di Lecce e della provincia, i priori delle congregazioni laicali e i capi degli ordini religiosi. Le signore erano presentate alla regina dalla moglie del sindaco, donna Felicetta Romano dei baroni Casotti, Alle due, i sovrani e i principi, in carrozze offerte dai signori leccesi, andarono a visitare il duomo, aprendosi a stento un varco in mezzo alla folla. Nella navata maggiore erano schierati in doppia ala, fin dal mattino, a dragoni della guardia; uno di essi, stanco dalla lunga attesa, cadde svenuto, ma si riebbe subito. I sovrani si assisero sotto il trono del vescovo, il quale si collocò dirimpetto, in cornu epistolae e, dopo un discorso e il canto del Te Deum, impartì loro la benedizione, I principi, i dignitari, il sindaco e le altre autorità sedettero agli stalli canonicali. Il re volle poi vedere l’altare di Sant’Oronzo, patrono di Lecce, ed accortosi che fra gli ornamenti mancava un paliotto d’argento, fece promessa di questo dono, promessa che, solo molti anni dopo, venne sciolta dal figlio Francesco.
Usciti dal duomo, i sovrani e i principi visitarono l’educandato delle fanciulle, detto delle Angiolille, diretto dalle suore della carità; furono molto soddisfatti dei lavori delle alunne, e udirono composizioni poetiche per la circostanza. Erano fra le educande due nipotine di Niccola Schiavoni. Le ragazze, piangenti, presentarono al re una supplica, ma il re passò innanzi senza darsene per inteso. Tornati al palazzo, i sovrani tennero circolo, cui presero parte le signore leccesi presentate nella mattina. Alle sei di sera, una sera splendida ma rigidissima, l’atrio dell’Intendenza fu di nuovo illuminato con la luce elettrica del padre Miozzi. La grande lampada era stata collocata nel mezzo del cortile; dagli archi pendevano candelabri, e ai lati enormi fanali, con effetto veramente magnifico.
Alle sette era fissato lo spettacolo di gala al teatro, col Tro-