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gnante, ed ottenere a questa città tutti i possibili e duraturi vantaggi„. Alle nove si partì per Lecce, tra le solite ovazioni.


Da Taranto a Lecce viaggio interamente di notte. A pochi chilometri da Taranto scesero tutti alla masseria Cimino, a destra della strada, dove erano magnifiche robinie. Era un bel chiaro di luna, che si rifletteva sulle onde tranquille del mare Piccolo, e benché fosse nelle prime ore della sera, il mite clima messapico temperava il rigore della stagione. La immaginosa e vivace principessa della Scaletta ricordava con caratteristica compiacenza quella fermata e le barzellette del re, al quale pareva tornato il buon umore. Cenarono in piedi e si rimisero in viaggio. L’ampia strada consolare era densa di popolo, e qua e là sorgevano archi con lumi ed epigrafi che non si leggevano. Gli abitanti di San Giorgio, Carosino, Fragagnano, Monteparano, Sava, Mandorla, Oria, erano accorsi con i corpi municipali, le guardie d’onore e le urbane, sfidando il freddo. Ma il re passò senza guardarli neppure. Traversò Manduria a trotto serrato, ch’era scorsa la mezzanotte. Mandorla, patria di Niccola Schiavoni e di altri condannati e profughi politici, era città antipatica al re. La vecchia madre dello Schiavoni aveva preparata una domanda di grazia da consegnargli, ma non le fu possibile. Si arrivò a Lecce alle cinque, a notte fitta. Gli augusti viaggiatori erano aspettati dal giorno avanti, e nessuno credeva che sarebbero giunti in quell’ora, mattutina e rigida. Le autorità ne ebbero avviso solo alle quattro, quando giunse improvvisamente la staffetta, che precedeva di cinque miglia la carrozza reale. La notizia si diffuse subito per la città, ma mancò il tempo dì eseguire quanto era stato stabilito. Si era fissato che alcune signore sarebbero andate incontro alla regina fuor di porta Napoli ad offrirle dei fiori, mentre il sindaco avrebbe presentato al re, secondo l’antico costume, le chiavi delle città; ma non se ne fece nulla. Poca gente si trovò ragunata a porta di Napoli, dove si era innalzato un arco di trionfo. Le autorità preferirono attendere i sovrani sullo scalone del palazzo dell’Intendenza, dove il re con la famiglia e il seguito doveva alloggiare. All’arredamento del palazzo per la circostanza avevano concorso le famiglie leccesi più cospicue. Penserini prestò la biancheria da tavola e da letto; Panzera e