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non accettata ospitalità, che per consolarsene aprì per tre giorni il suo palazzo, perchè ciascuno vedesse la sala da pranzo, che aveva apparecchiata, con cuochi e camerieri fatti venire da Napoli, e molti vi andarono anche da Bari e dai paesi vicini.
Lungo la via da Bitonto ad Acquaviva furono fatte brevissime fermate a Palo, a Bitetto ed a San Nicandro. Sì giunse in Acquaviva alle dieci di sera. I preparativi per le feste erano stati diretti da monsignor Falconi. Case riccamente addobbate, alti archi ed epigrafi riboccanti d’iperboli. Quella sulla porta della città, sotto l’immagine della Madonna di Costantinopoli, diceva: Vergine di Costantinopoli — Madre di Dio e degli uomini — di questa città dopo Dio — speranza prima — tu che ne’ nostri bisogni — la seconda prece non attendi — questa grazia — impetraci dal figlio tuo — che questi angioli di viaggiatori — che innanzi al tuo santuario — umilmente si prostrano — mai non muoiano — alla tua gloria, al nostro amore — alla felicità de’ loro popoli. Sotto l’arco, proprio all’ingresso della città, attendevano il re, il clero con monsignor Falconi alla testa, le autorità circondariali e municipali e i primarii cittadini, con cari accesi. Vi erano pure sessanta bambini, vestiti con pantaloni bianchi e giacchette celesti e rami d’ulivo in mano, e che tremavano dal freddo. lire non sostò un momento e andò dritto al palazzo dell’arciprete. I dolori gli si erano rincruditi.
Monsignor Falconi, direttore supremo delle feste e scrittore delle epigrafi, era sontuoso in tutto: nello stile, nelle immagini, nei conviti, nelle abitudini. Alto e vigoroso della persona, egli era nativo di Capracotta; ed essendo stato, per alcuni anni, segretario dell’arcivescovo Clary a Bari, aveva rivendicata la palatinità delle chiese di Acquaviva e Altamura e ne aveva ottenuto titolo di arciprete mitrato e giurisdizione episcopale: beneficio, che gli fruttava circa seimila ducati l’anno. Era fratello del procuratore generale Falconi, e zio dell’attuale deputato. Tanta fiducia riponeva in lui Ferdinando II, che volle pernottare in Acquaviva ad ogni costo, nel palazzo dell’arciprete, non in quello che fu di casa Mari, e passò poi in possesso di don Sante Alberotanza. Nel palazzo di don Sante alloggiarono Murena, Bianchini ed altri del seguito, e vi stettero assai a disagio. Il principe e la principessa della Scaletta furono obbli-