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Stornara e di Stornarella, grosse borgate a destra e a sinistra del Cervaro e del Carapella e che si chiamavano Reali Siti, attendevano il corteo con le rappresentanze municipali e guardie urbane con bandiera. Applausi ed acclamazioni accolsero gli augusti viaggiatori, che, dopo aver fatta colazione al rilievo del passo di Orta, proseguirono al galoppo. Benché si fosse nella mite Puglia, soffiava una tramontana tagliente. A poca distanza da Cerignola s’incontrò un plotone di cavalleggieri, che circondarono le carozze. A Cerignola, dove si dovevano cambiare i cavalli, il Decurionato aveva fatto innalzare un arco trionfale all’ingresso della città, ma il popolo si era riversato fuori dell’abitato per quasi un miglio. Il vescovo, monsignor Todisco Grande, il sindaco Raffaele Palieri, il capo urbano Giuseppe Manfredi e gli altri decurioni e notabili, aspettavano sotto quell’arco sin dalle dieci, ma le carrozze reali non furono in vista che verso le due. I postiglioni dovettero far rallentare il passo ai cavalli, tanta era la folla che premeva da ogni parte. A un certo punto, un personaggio del seguito, che non fu distinto chi fosse, sceso dì carrozza, si collocò allo sportello dalla parte del re, per allontanare i più audaci. Al capitano Stoker, che comandava i cavalleggieri e teneva indietro il popolo a colpi di piattonate, Ferdinando II intimò di rimettere la sciabola nel fodero.

Quel miglio dì strada fu eterno; e giunti i sovrani all’arco di trionfo, nè il sindaco, nè il vescovo potettero, per la ressa, recitare le preparate concioni. Cerignola eccedeva in applausi e in acclamazioni, forse per far dimenticare al re che era la patria del famoso bandito Niccola Morra, il quale, evaso da Nisida, scorrazzava in quelle campagne. Le autorità non riuscivano a prenderlo e i suoi favoreggiatori, per paura e per guadagno, eran molti; anzi il re credeva che i proprietari lo celassero per far opposizione a lui e screditare il governo in faccia all’Europa. Attorno al nome di Niccola Morra si era formata una leggenda di simpatia e di paura. Si raccontava che, vestito da gran signore, avesse largamente soccorsa mia povera donna; in abito monacale, generosamente aiutato un vecchio infermo; e vestito da mendicante, avesse schiaffeggiato l’intendente Guerra nella villa di Foggia, senza che questi opponesse resistenza. I suoi ricatti erano celebri. Al ricco Antonio Padula di Candela aveva estorti ottomila ducati; a Leone