Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
— 432 — |
scolla, col clero e le congreghe. Il re baoiò la mano al vescovo e volle che la baciassero la regina, i principi, e tatti i personaggi che l’accompagnavano. Mentre il re baciava la mano al vescovo, si narrò che la statua della giustizia, posta sopra l’arco e fatta di cartapesta, girasse sul suo perno, e che da ciò abbia poi avuto origine il detto locale, a riguardo della giustizia: “purchè non rivolti come la statua„. Il reale corteo si diresse alla cattedrale e il re entrò nel tempio sotto un ricco baldacchino dorato, retto da otto decurioni. All’ingresso monsignor Frascolla gli offrì l’acqua benedetta e l’ossequiarono i vescovi di Sansevero e di Lucera, Sull’altar maggiore della chiesa, riccamente addobbata con damaschi e broccati, era posto il quadro della Madonna dei Sette Veli, protettrice della città. Tutti s’inginocchiarono e fu cantato il Te Deum a piena orchestra, poi le litanie, alle quali segui la benedizione. Ferdinando II fissò il binoccolo sul quadro della Madonna per vederla meglio, e, non riuscendovi, pregò il vescovo di fargli trovare, al ritorno, il quadro più in basso. Il quadro fu infatti abbassato, ma Ferdinando non lo rivide più. Dalla chiesa al palazzo della dogana, dov’è, anche oggi la prefettura, fu un cammino trionfale in mezzo a tutta la popolazione stranamente esaltata. Saliti che si fu nell’appartamento, le ovazioni non cessarono. Il re dovette ringraziare dal balcone, che guarda la piazza San Francesco Saverio, mentre la regina rimase dietro i vetri. I principi occupavano un altro balcone, e il principe ereditario gettava tarì1 al popolo, sollazzandosi coi fratelli a vedere il pigia pigia della folla per raccoglierli.
Durante la breve dimora in Foggia, Ferdinando II firmò il decreto, col quale volle “per così fausto avvenimento impartire i tratti della sua sovrana clemenza a coloro, che, per commessa violazione a’ precetti di legge, sono colpiti dalla corrispondente retribuzione delle pene„. Furono diminuite di quattro anni le condanne ai ferri, e di due le pene correzionali; vennero condonate le detenzioni ed ammende per contravvenzione, ma furono esclusi dalla sovrana indulgenza gl’imputati o condannati per furto, per falso, per frode, per bancarotta e per reati forestali. Il decreto, o atto sovrano, datato da Foggia il 10 gennaio, comprese pure i condannati politici rimasti nelle prigioni,
- ↑ Moneta d’argento, equivalente a 85 centesimi.