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nuove acclamazioni; a Pozzo d’Albero aspettavano le autorità comunali di Troja. Si giunse a Foggia alle quattro, tra una moltitudine plaudente.

Era sindaco della città Vincenzo Celentano; caposquadrone delle guardie d’onore, Gaetano della Bocca; capo delle guardie urbane, Francesco Paolo Siniscalco. Foggia aveva fatti splendidi preparativi, anzi sontuosi. Componevano la commissione dei festeggiamenti, Alessio Barone, Gaetano de Benedictis, Antonio Bianco, il marchese Saggese, Lorenzo Scillitani, che poi fu sindaco e deputato di Foggia e il notaro Andrea Modula. Rossi e Recupito furono gli architetti degli addobbi. Un arco trionfale sorgeva al principio del corso Napoli, ora Garibaldi: arco grandioso, coronato da statue rappresentanti il genio borbonico nell’atto di coronare la giustizia e la virtù. Altro arco s’innalzava sulla via di Cerignola, e un tempio addirittura si estolleva accanto all’Intendenza, dove prese alloggio la famiglia reale. Su questo tempio erano dipinte sopra trasparenti le immagini dei sovrani, con questa epigrafe: A Sua Real Maestà — Ferdinando II — Re del regno delle Due Sicilie — monarca e padre augusto clementissimo — Foggia — glorificata da un avvento sospirato memorando — colma d’ineffabil gratitudine — l’omaggio avito di sua devota sudditanza — e d’incrollabile fede — tributa reverente. Festoni di mortella, candele di bengala e lumi dappertutto. Le feste costarono, si disse, cinque mila ducati, anticipati dagli appaltatori dei diversi servizi. Si aprirono sottoscrizioni private, ma fruttarono poco e finì col pagare il Comune, stornando quasi tutta la somma dalla fabbrica del porticato della villa. L’entusiasmo dei foggiani si spiega anche con questo, che consideravano Ferdinando II quale uno de’ loro, perchè era andato più volte alla famosa fiera di maggio, in borghese, con stivaloni e con grossa mazza ad uncino, a comprar cavalli e a vendere i prodotti delle sue tenute di Tressanti e di Santa Cecilia. Egli, che ci teneva ad essere un latifondista del Tavoliere, conosceva quasi tutti a Foggia, vi stava con grande fiducia e aveva preso a voler bene al brigadiere dei gendarmi, certo Fujano, borbonico furente.


Il corteo entrò da porta Napoli. Sotto il primo arco erano raccolte le altre autorità, col vescovo monsignor Berardino Fra-