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i soli che si permettessero qualche volta di celiare, ma di nascosto, sull’imbarazzo dei pacchiani cerimoniosi impacciati e resi muti dal freddo.1


Alle 10 1/2, i viaggiatori mossero da Ariano per Foggia. Era la seconda parte di quella tappa assurda, che il re voleva compiere da Avellino a Foggia: assurda, anche se le strade fossero state in buone condizioni, ma sempre però meno dell’ultima da Acquaviva a Lecce. Nell’atto della partenza non nevicava, anzi per un poco si vide il sole. Ma qualche miglio più in là, prima di entrare nello storico vallo di Bovino, riecco la bufera e con essa le difficoltà di andare innanzi. Alla salita di Camporeale si scese di nuovo dalle vetture, e il re, che si sentiva molto stanco, si mise a sedere sopra un mucchio di sassi, che coprì col suo mantello e vi rimase alcuni minuti. Nel levarsi, sentì un acuto dolore all’inguine e stentò a rimontare in vettura. All’ingresso della Capitanata, là dove si succedono le montagna di Greci e di Savignano, si trovarono le autorità dei comuni del Vallo, con le guardie urbane e le bande musicali e una folla di popolo, che acclamò i sovrani. Al primo cambio postale presso Montaguto, furono incontrati da don Raffaele Guerra, intendente della provincia, dal comandante delle armi e da altre autorità provinciali. Tutto il Vallo era perlustrato da gendarmi a cavallo. L’intendente presentò al re gli omaggi della provincia e n’ebbe in risposta poche e fredde parole. Fu ripreso il cammino che divenne men disagevole, di mano in mano che si discendeva in Puglia. La via era popolata da deputazioni dei vicini comuni; e le guardie urbane, disposte in doppia fila, battevano i denti dal freddo, ma si sforzavano di simulare un aspetto marziale. Non vi era più neve. Le deputazioni e i decurionati avevano stendardi di mussolina bianca con gigli, e vi si leggeva il nome delle rispettive comunità, con la scritta Viva il Re. Al secondo cambio, al ponte di Bovino, altre autorità e

  1. Nel 1899 vide la luce in Catania, per i tipi dei fratelli Perrotta, un breve opuscolo del signor Francesco Catanoso, dal titolo: L’avvelenamento di re Ferdinando. Vi si afferma, senza alcuna prova, che monsignor Caputo aveva avvelenato il re, condendo di lue sifilitica (!) i cibi preparati per lui. Ma le inesattezze grossolane di quella narrazione son tante, e non val la pena di occuparsene.