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stato fedele soldato di Murat, compagno del De Conciìy e intinto di carbonarismo anche lui.

Queste furono le autorità avellinesi presentate al re, insieme al mite vescovo monsignor Gallo ed ai principali cittadini: don Carlantonio Solimene, don Fiorentino Zigarelli, don Gianfrancesco Lanzilli, l’avvocato Luigi Trevisani, padre di Gaetano, ma per sentimenti politici assai diverso dal figlio, e don Crescenzo Capozzi, fratello di Enrico e padre di Michele, già deputato di Atripalda. Don Crescenzo era inquisitore costantiniano per la provincia. Erano tutti, naturalmente, in giamberga e guanti gialli. Il ricevimento fu breve e freddo. Il re era visibilmente impaziente, parlò poco e tagliò corto sulle iperboliche adulazioni, che riuscivano insopportabili anche a lui; e alla fine, quasi seccato da tante cerimonie, chiese all’intendente: “Nè, Mirabè, che ce dai da magnà stasera?1 Pacchere, Pacchere, Maestà„, rispose il Mirabelli, ridendo e saltellando. E il re: “E camme pacchere? Bella accoglienza ca ce fai coi pacchere; non è vero, principè?2 rivolgendosi alla principessa della Scaletta. Alle otto si andò a pranzo, e alla mensa reale presero posto i personaggi del seguito, l’intendente e la sua famiglia. Si mangiarono i famosi paccheri, fatti preparare dal cuoco del Mirabelli, felice che incontrassero il favore dei sovrani, dei principi, ma soprattutto del principe ereditario. Il re mangiò poco, seguitò a celiare con l’intendente, e levandosi di tavola, prima che il pranzo finisse, con un asciutto buona sera salutò i commensali e se ne andò a letto, seguito pochi minuti dopo dalla regina. Il seguito alloggiò in case private, e il principe e la principessa della Scaletta furono ospiti dell’avvocato Carlantonio Solimene.


La dimane il re si levò di buon’ora. Era impaziente di partire, benchè il tempo fosse orribile e seguitasse a cadere la neve, resa più molesta dal vento che soffiava forte. Non ascoltò coloro che Io consigliavano a sospendere la partenza. Volle mostrarsi anzi faceto, perchè alla principessa della Scaletta disse, appena la vide: “principè, vì che bella sorpresa v’aggio cumbi-

  1. Nèh, Mirabelli, che ci dai da mangiare questa sera?
  2. Paccheri, specie di grossi maccheroni, che sono una ghiotta specialità di Avellino. Nel linguaggio dialettale napoletano paccheri vuol dire schiaffi, e perciò il re scherzava sul doppio senso della parola.