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fetto in riposo, don Giuseppe Spennati, procuratore generale; il presidente del tribunale Giuseppe Talamo e don Gaetano Barbatelli, ricevitore generale della provincia, il quale, perchè devoto ai Borboni, fu destituito nel 1860, e non avendo svincolata a tempo la grossa oauzione, vide andare in forno la sua sostanza. La casa del vecchio colonnello De Concily era il ritrovo dei liberali. Il De Concily, tornato nel Regno in virtù della Costituzione del 1848, era stato invitato dal re a riprender servizio nell’esercito col suo grado di colonnello, ma ricusò e solo cedette alle insistenze dei suoi amici, Raffaele Carrascosa e Guglielmo Pepe, i quali lo vollero colonnello della guardia nazionale di Napoli. Abolita la Costituzione, si ritirò in Avellino e visse quasi da solitario. Garibaldi, con decreto del 10 settembre 1860, lo promosse generale; e Cavour, senatore del Regno, subito dopo l’annessione delle provincie meridionali. Morì nel 1866 in Avellino, all’età di 92 anni. In casa del De Concily convenivano in quegli anni Pirro de Luca, nobile animo e mente colta e geniale, che sapeva a memoria quasi tutti i Promessi Sposi; Emidio de Feo, che ha lasciato onorata fama di sè; Gioacchino Orta, Domenico Capuano, Gioacchino Testa, Enrico Capozzi, conservatore delle ipoteche, che univa alla grande fortuna spirito colto e gusto d’artista, il dottor Giuseppe Amabile, padre di Luigi, Angelo e Giuseppe Santangelo, Niccola e Vincenzo de Napoli, Tommaso Imbimbo, e, fra i più giovani, Raffaele Genovese, Vincenzo Salzano, Florestano Galasso e Tito Criscuolo; i quali più tardi vedremo figurare tra i più ardenti nel movimento rivoluzionario. Motto d’ordine dei liberali avellinesi fu l’astensione compieta dalle feste. La rigidità della stagione e l’età del De Conoily, che aveva superato gli ottantacinque anni, potevano rendere non sospetta l’assenza di lui; ma Ferdinando II la notò, nè mancò chi a lui la commentasse malignamente. Furono poi presentati il commissario di polizia Iannuzzi, assai malvisto per i suoi eccessi birreschi, il capourbano don Domenico, o don Micariello Festa, innocua persona e il generale Michelangelo Viglia, comandante militare della provincia. Viglia era succeduto al barone Fiugy, morto tre anni prima, lasciando buona fama di sè, perchè non aveva mancato più volte di rilevare in Corte gli eccessi polizieschi del Mirabelli. Svizzero di origine, egli aveva natura generosa; era