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abbracciarono più volte i piccoli principi, che restavano; ma il re pareva preoccupato, e se ostentava un po’ di loquacità scherzosa, tutti sentivano che non era spontanea; e difatti sparì appena varcata la soglia della reggia. Nè la regina, nè i principi davano segno di gaiezza; anzi alcuni del seguito, napolitanamente, mormoravano, confidandosi paure e prognostici non lieti, per l’ostinazione, anzi per il capriccio del re di compiere un lungo viaggio nel cuore dell’inverno e con preparativi in verità cosi miseri e malinconici.

Nel Chiuso — così chiamavasi quel punto del parco ad occidente del palazzo, dove la famiglia reale era solita salire in carrozza — si trovavano raccolti ministri, generali, direttori, impiegati e personale di servizio, per baciar la mano ai sovrani e dar loro il buon viaggio. Le carrozze, dove montarono, erano naturalmente coperte. Nella prima presero posto il re, la regina, il duca di Calabria e il conte di Trani; nella seconda, il conte di Caserta, il generale Ferrari, il colonnello Cappotta e il colonnello Severino; nella terza, il principe e la principessa della Scaletta, il duca di Sangro e il conte Latour; nella quarta, Murena e Bianchini coi rispettivi segretari, Costantino Baer e Fiorindo de Giorgio; nella quinta carrozza, Galizia e le due donne di servizio; e infine, nell’ultima, il cuoco Cammarano e due servi di cucina. Quest’ultima carrozza portava alcune provviste e quanto occorreva per mangiare, non che due brande e alcuni piccoli materassi. Precedeva un’altra vettura, ma non di Corte e vi prese posto Federico Lupi, supremo condottiero della spedizione, il quale calzava stivaloni sino al ginocchio e si dava molto da fare. Ad ogni carrozza erano attaccati quattro cavalli a coppie, con postiglioni.

Saliti tutti in vettura a un’ora pomeridiana, il re diè ordine di aprire il cancello di fronte al quartiere della cavalleria, ed aperto che fu dal vecchio guardaportone, Giuseppe de Flora, avendo visto appoggiati due cappuccini alle mura dei quartiere, i quali si sprofondavano in inchini, Ferdinando li salutò, ma voltosi alla regina, le disse: “Terè, che brutto viaggio che facimmo sta vota!1 Varcando il cancello, i sovrani si segnarono, e cominciò quella via crucis, che doveva poi avere un così triste epilogo. Verso il tramonto dello stesso giorno si scatenò un violento

  1. Teresa, che brutto viaggio che facciamo questa volta!