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deputato nel 1848, e morì poi consigliere di Cassazione e senatore del Regno d’Italia. Anche Leonardo Larussa fu deputato e senatore. Furono elevati per la circostanza parecchi archi trionfali con ampollose epigrafi. Eccone un saggio:
Sei Grande, sei Pio, sei Padre, sei Re! |
Essendo recenti i ricordi del 1848 con le relative condanne, molti speravano grazie dal re, preceduto dalla voce che compiva quel viaggio per rendersi conto dei bisogni del Regno, e per riparare con la clemenza ai rigori dei giudici. Le autorità avevano stabilito di ritrovarsi alle due all’Intendenza; i magistrati avevano mandate le toghe e i cappelli a canalone in casa del procuratore generale Altimari, per vestirsi tutti insieme. Cittadini e funzionarii pregustavano la gioia di rivedere il re in ora così comoda, e nessuno immaginava neppure quello che avvenne.
Era mezzogiorno e mezzo, quando si udì un rumore insolita e strepito di cavalli; e prima che ne corresse la voce, il re era entrato in città. La trovò deserta. Credette da principio ad un complotto politico; si turbò e ordinò di andare diritti al duomo, ma questo era chiuso e il vescovo De Franco faceva la siesta. Crebbe l’irritazione, perchè cadde un cavallo della sua carrozza. All’Intendenza non trovò nemmeno il picchetto di guardia, ma solo pochi militi urbani dei paesi vicini, venuti a prendere ordini e vestiti coi loro costumi caratteristici. Uno di essi, con lo schioppo a tracolla, si accostò al re per baciargli la mano, e per poco non gli ruppe la testa. Chiese dell’intendente, e gli si rispose ch’era andato al duomo, come v’era corso difatti, infilandosi l’uniforme per via e gridando come un ossesso. Non trovato però il re al duomo, tornò trafelato all’Intendenza, più morto che vivo. Catanzaro pareva una gabbia di matti. La gente si precipitava nelle vie, i magistrati correvano alla casa del Procuratore Generale a vestir le toghe e a prendere i cappelli; ma scambiando, nella confusione, toghe e cappelli, provocavano scene comiche ed episodii grotteschi.
Il re, smontando nel cortile dell’Intendenza, licenziò le due guardie d’onore che lo avevano seguito, il barone Luca Orsini di Cotrone e il marchese Domenico Gagliardi di Monteleone, il quale, appena giunto in casa Larussa, di cui era ospite, dovè mettersi a letto, per curarsi delle gravi fiaccature riportate dal