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tano di gendarmeria. L’incidente più notevole di quella ospitalità fu la conoscenza, che il Re fece di frate Antonio "fra’ Ntoni", laico, in odore di santità, il quale dispensava ricette per guarire e si assicurava che facesse qualche miracolo. Non si lavava mai, e il sudiciume dei suoi abiti e della cella era reso maggiore dalla sua stravagante passione per un ghiro, che aveva addomesticato e gli dormiva addosso, obbedendogli come un cane. Il re andò a visitarlo nella cella, e Fra’ Ntoni, mostrandogli il ghiro, gli disse che il popolo doveva essere al suo Re così affezionato, come il ghiro era affezionato a lui.

La mattina del 9, lasciò Rogliano alle 10. Si compiacque di dare alla signora Morelli, madre di Donato e di Vincenzo, contro i quali era aperto il grave processo politico; ma la signora non udì rispondersi che queste secche parole: "Fate fare il giudizio„, nè risposta più confortante ebbe la figlia di Saverio Altimari. Traversò Rogliano a piedi, in mezzo al suo stato maggiore; poi montò a cavallo, e passando sotto gli archi di trionfo innalzati in suo onore nei paeselli di Carpanzano e Scigliano, giunse all’osteria di Coraci, dove una divisione delle truppe l’aveva preceduto, e dove un’altra divisione lo raggiunse. Anche Coraci fu doppia tappa, ed egli vi fece eseguire alcuno evoluzioni. Vi ricevette l’intendente Galdi, che gli era andato incontro al confine della provincia, il comandante generale Salerno e le altre autorità. Con l’intendente si mostrò assai freddo. Egli conosceva la vita intima dei suoi funzionarii, e contro il Galdi era mal prevenuto; raccoglieva volentieri pettegolezzi e maldicenze e, all’occorrenza, se ne serviva senza dignità di re. Licenziando quei funzionarii, disse loro che li avrebbe riveduti a Catanzaro l’indomani, e quelli partirono, dopo aver presi con lo stato maggiore gli accordi circa il ricevimento in quella città, dove si calcolò che il Re non potesse arrivare prima delle 4 pom. Alle 3 antimeridiane del giorno 11, egli mosse a cavallo alla volta di Tiriolo, seguito dalle truppe. Era notte fitta. A Soveria udi la messa, e giunto a Tiriolo, non vi si fermò che per montare in vettura, ordinando ai postiglioni di sferzare i cavalli.


A Catanzaro si erano fatti apparecchi sontuosi per il ricevimento e il pranzo, e di questo aveva avuto incarico il giovane Leonardo Larussa, figlio dell’avvocato don Ignazio, che era stato