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logia. Il giovane clero preferiva l’insegnamento dei seminari, benché all’Università insegnasse diritto canonico quell’abate Crisafulli, vera autorità in questa materia e nel diritto feudale e che ebbe tante vicende dopo il 1860.
Il rettore, il maestro di spirito e il bibliotecario erano di nomina regia, su proposta della commissione di pubblica istruzione, e a Palermo si dovevano scegliere tra i padri teatini della casa di San Giuseppe, rimanendo in vigore una curiosa disposizione, contenuta in un rescritto del 1805, che concedeva i tre ufficii a quei frati, in compenso di una parte del locale che essi cedettero all’Università. I tre studii siciliani avevano, nominalmente sei facoltà: teologia, giurisprudenza, medicina, fisico-matematica, filosofia, lettere e belle arti; ma, dove più dove meno, queste facoltà erano, come già si è detto, incomplete. Sembra strano, ma nessun concorso fu mai bandito nell’ultimo decennio per provvedere alle cattedre che venivano a mancare, ad esse provvedendosi con sostituti interini o provvisori. Messina e Catania non avevano l’insegnamento della lingua ebraica, nè la spiegazione della sacra scrittura, anzi Messina non aveva neppure la cattedra di teologia morale. Della facoltà di giurisprudenza, Catania e Messina non avevano la medicina legale, ed in quest’ultima Università mancava persino l’insegnamento dell’economia, dell’etica e del diritto naturale. I tre teatini, che in quegli anni stettero a capo dell’Università palermitana, furono il padre Laviosa, rettore; il padre Piambanco, bibliotecario, e il padre Filippo Cumbo, maestro di spirito, i quali vissero senza infamia e senza lode.
La deputazione universitaria, che il Filangieri fece ottenere all’ateneo di Palermo, in luogo dell’antica commissione di pubblica istruzione, era preseduta da don Pietro Crispo Floran, col titolo di gran cancelliere. Uguale ufficio nell’Università di Messina era tenuto dall’arcivescovo, e a Catania da don Carmelo Martorana. Il Crispo Floran, presidente del tribunale civile di Palermo, dotto giurista, percorse tutti i gradi della magistratura e morì nel 1884 primo presidente della Cassazione di Palermo e senatore del regno d’Italia, benché non riuscisse a prestar giuramento. Il Martorana, consigliere della Gran Corte civile dì Catania, aveva fama di buon magistrato e morì vecchio nel 1870. Ma l’arcivescovo di Messina, Cardinal Villadicani,