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gente tutti affratellati, come ho detto, contro il comune nemico, il governo di Napoli, ritenuto autore persino del colera, che nel 1854 e 1855 fece grandi vittime a Palermo e a Messina, sebbene inferiori di molto a quelle del 1837, quando morirono nella sola Palermo quarantamila persone. Nel 1854 i morti furono seimila, e se non si rinnovarono le scene barbariche del 1837, fu perchè le autorità fecero il loro dovere. Maniscalco si recava egli stesso a portar soccorsi, vigilando con energia e umanità il servizio sanitario. Ma non mancò qualche incidente bizzarro, che rileva come il contagio fosse ritenuto opera di umana malvagità. Fu tra i morti don Santi Migliore, che era stato direttore di polizia prima del 1848 e poi, per poco tempo, intendente di Palermo. Abitava al palazzo Orléans. Egli era nativo di Borgetto, paesello presso Partinico, e i suoi concittadini l’avevano in gran conto. Come seppero ch’era morto, corsero a Palermo in gran numero, convinti che il Migliore era stato avvelenato, per rapirne il cadavere nella notte e portarlo a Borgetto, dove, secondo loro, avrebbe avuta più degna sepoltura che non nell’ospedale dei colerosi. E così fecero. La commissione sanitaria della sezione Oreto, composta dai dottori Lodi, Moleti, Macaluso e Lamanna, riferì la cosa al senatore della sezione don Antonino Benso, e il luogotenente ordinò che la salma fosse riportata a Palermo ad ogni costo. Maniscalco esegui l’ordine con una rapidità, che il fatto strano si venne a sapere dopo che il Migliore era stato sepolto ai Rotoli.
Il 26 dicembre, festa di Santo Stefano, si apriva il maggiore teatro, che era il Carolino, oggi Bellini, sempre con compagnie di prim’ordine e ballerine di cartello e relativo strascico di critiche teatrali, polemiche e duelli. Ma di teatri Palermo difettava veramente. Oltre al Bellini, non ampio, a cinque ordini di palchi, grazioso ed elegante, ma senza vestibolo e dove si andava in gran lusso, vi era il teatro di Santa Cecilia, che serviva per la prosa nell’inverno, e nell’estate per le operette, allargato e abbellito dal bravo architetto Giachery. Solo nei nuovi tempi Palermo potè veder esaudito il suo desiderio, quello di avere uu grande teatro: il Politeama e più tardi il Massimo, il quale se fu una follia economica e costò la demolizione di un grande monastero, che si sarebbe potuto mettere a profitto di