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Sicilia era considerata da Napoli come l’Irìanda dall’Inghilterra, era comune anche agli ecclesiastici. L’alto clero non avea perdonato ai Borboni l’abolizione della Costituzione del 1812, che gli dava il diritto di sedere nella Camera dei pari, in numero di sessantaoinque membri, fra arcivescovi, vescovi, archimandriti, gran priori, priori e abati. Il sentimento d’indipendenza era dunque vivacissimo nel clero, anche perchè in quello regolare, soprattutto nei filippini e benedettini, le più nobili famiglie dell’Isola vi erano rappresentate, e ricorderò i due Lanza di Trabia, padre Ottavio e padre Salvatore, tra i primi; il padre Castelli di Torremuzza, il padre Benedetto Gravina e il padre Lancia di Brolo, oggi arcivescovo di Monreale, fra i secondi. La rivoluzione non poteva che trovar favore in esso: favore, non aiuti compromettenti, perchè il prete siciliano è un dialettico, discute e riflette molto prima di risolversi, rifugge dalle risoluzioni rischiose e parla il meno che può. Giudice della Monarchia era monsignor don Diego Pianeta, siciliano; arcivescovo di Palermo monsignor Naselli, di famiglia sicula anch’egli, benché nato a Napoli, e siciliani quasi tutti gli altri arcivescovi e vescovi dell’Isola, come già si è detto, tranne l’arcivescovo di Catania, nonchè, monsignor Salomone, vescovo di Mazzara, nato in Avellino, e monsignor Attanasio, vescovo di Lipari, nato a Lucera. I primi due erano molto amati per la pietà e la dottrina. Un vescovo aveva autorità e giurisdizione vera, perchè le diocesi essendo sole quattordici, in media due per provincia, erano vaste di territorio e i seminari, pochi anch’essi e nell’insieme discreti, anzi, quello di Palermo e Monreale aveva una storia illustre.

Tutto ciò contribuiva a mantenere un certo equilibrio sociale, onde ciascuno era al suo posto, e in luogo delle corrotte e piccole tirannie che pullularono nei tempi della libertà, era la grande tirannia coi suoi sfarzi e le sue apparenze non volgari, le quali nascondevano magagne d’altro genere. Chi visitava la Sicilia, limitandosi a vedere Palermo, Messina e Catania, Taormina, Siracusa e l’Etna, ne riportava un’impressione indimenticabile, così come la riportava da Napoli, percorrendola nelle sue strade principali ed osservandola dal mare, o visitandone i dintorni. I signori non erano odiati, anzi il rispetto per essi aveva qualche cosa di molto caratteristico, e il clero era davvero amato dalla povera gente; e nobili, borghesi, clero e povera