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putati vittime anche loro; e rendeva facile la formazione delle squadre, quando v’era da menar le mani contro il governo. li latifondo, in ispecie, mutava i miseri contadini in insorti, o li raccoglieva e nascondeva, divenuti malandrini.
Ho accennato alla funzione sociale ed economica che esercitava il clero, ricchissimo. La terza parte del patrimonio dell’Isola era manomorta ecclesiastica, la quale rappresentava un’altra provvidenza, che sovveniva con le sue larghe entrate tanti infelici, reintegrando così alcuni bisogni sociali, ed era meno esigente nei suoi feudi coi proprii salariati e dipendenti. Sali» Sicilia non era passata la pialla livellatrice della rivoluzione francese. Ricchissime le diocesi di Palermo, di Catania, di Cefalù, di Mazzara, di Messina e di Girgenti. I gesuiti e i liguorini, soppressi nel 1848 dalla rivoluzione, tornarono nel 1850 e riebbero patrimonio, privilegi e istituti d’insegnamento, missioni, congregazioni e noviziati: in tutto, quattordici case e, fra i collegi, quello dei nobili in Palermo, ma i gesuiti erano malveduti dal clero indigeno e malveduti i liguorini, perchè ad essi devoti. L’ordine religioso, veramente straricco, era quello dei benedettini, di cui si è parlato innanzi, con le case di Palermo, di Monreale e di Catania. Il clero secolare numeroso e ricco anch’esso; ma, in Sicilia, come nel Napoletano, il sacerdozio rappresentava uno stato di passaggio fra il ceto campagnolo e la borghesia. Dei due sacerdozii, il regolare valeva più del secolare, per cultura e moralità, ma l’uno e l’altro valevano forse poco, pure non dimenticando che nell’uno e nell’altro erano filosofi come il D’Acquisto riformato e il Romano gesuita; letterati come il Pardi paolotto, il Previti gesuita, il Galeotti e il Villareale scolopii, il Vaglica prete; orientalisti come l’Ugduìena prete; eruditi quali il sommo Alessio Narbone gesuita, e il Ferrara gesuita anche lui, e il Casano, il Di Chiara e il Cultrera; e poiché le leggi e la distanza lì sottraevano quasi interamente da Roma, e non avevano altra dipendenza che dai rispettivi vescovi e dal tribunale della Monarchia, i vincoli della disciplina erano piuttosto fiacchi. Il clero siciliano ritraeva le qualità e possedera1 pregiudizi tatti delle classi, dalle quali emanava e alle quali rimaneva affratellato. Nutriva lo stesso senso d’orgoglio e sentivi lo stesso aborrimento per i napoletani, e l’affermazione che la