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monsignor Cocle, i ministri, gli alti dignitari dello Stato e della Corte, quasi tutti spostati in un consesso di persone dotte. La nomina accademica alle volte era dovuta ad una lettera dedicatoria, a commendatizie di eccelsi personaggi, o a benemerenze politiche, mentre ne furono tenuti fuori scienziati di gran valore, come il Pilla, il Ferrarese, il Gasparrini e Giuseppe Fiorelli. Qual meraviglia che l’opera della Società Reale fosse così sterile? Nell’ultimo mezzo secolo l’Accademia delle scienze non aveva pubblicati che cinque volumi dei suoi atti. Tutto ciò fu messo in luce nell’aprile del 1861, da Paolo Emilio Imbriani in una violenta relazione, da lui scritta quando era ministro della luogotenenza, e che precede il decreto del 30 aprile di quell’anno, col quale il principe di Carignano, luogotenente, sciolse l’Accademia. Tal fatto suscitò un vespaio. Giuseppe Ricciardi ne mosse interpellanza alla Camera dei deputati: quello stesso Ricciardi che nei 1834 aveva tanto inveito nel giornale Il Progresso contro la Società Reale.

Ho potuto avere in mano gli appunti che servirono all’Imbriani per la sua relazione. Vi sono rivelazioni curiose, e bizzarre. Dovendosi nominare un socio, il presidente Bozzelli e i due segretarii, il generale e il perpetuo, ponevano il posto a disposizione dei principi reali o dì altri personaggi, specialmente ecclesiastici, i quali avevano trasformato l’Accademia Ercolanense quasi in un capitolo dì canonici. Si mantenevano costantemente vuoti alcuni posti, per riparare il dissipamento dei fondi. Sarebbe di certo un’imprudenza il pubblicare le caratteristiche di alcuni accademici, le ragioni delle nomine loro e i giudizi, che su di essi portava l’Imbriani, esagerati o pettegoli per alcuni, ma giusti per altri. Per ricordare i più lievi, al colonnello D’Agostino, segretario particolare del re, egli rimproverava di non aver mai pagato i sei carlini da lui perduti in casa di don Michele Fabiani, dove usava andare ogni sera a giocare il tresette. Di Domenico Spinelli, altro accademico, riferiva aver detto un giorno nella sala delle adunanze, che se Ferdinando II gli avesse comandato di scopare le scale di Palazzo e le regie stalle, egli avrebbe adempiuto il sovrano comando con la faccia per terra; Bernardo Quaranta era dipinto come il più untuoso adulatore del suo tempo, che ai preti baciava la mano, ai canonici faceva un profondo inchino, ai vescovi andava incontro con la