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lippo, e tre giovani di grandissimo valore: Enrico Pessina, Emilio Civita e Giuseppe Polignani. Il Castriota, il Pessina, il Tarantini e il De Filippo avevano difeso gl’imputati politici nei due processi del 15 maggio e dell’“Unità italiana„: difesa che non volle assumere il Marini Serra, borbonico convinto, com’era borbonico convinto un altro avvocato di minor conto, don Antonio Fabiani, suocero di Agostino Magliani. E vanno pur ricordati Cesare Marini, civilista e penalista, Luigi Capuano e Luigi Landolfi, gran raccoglitore di notizie sugli avvocati napoletani, Francesco Saverio Arabia, Gherardo Pugnetti, che insegnava diritto romano all’Università e don Guido Guidi. In fatto di quistioni demaniali, avevano fama Michele Giacchi, Raffaele Gigante ed Enrico Cenni, e nelle cause commerciali primeggiavano Tito Cacace ed Enrico Castellano. Molti di questi brillarono dopo il 1860 negli uffizi pubblici; altri morirono prima dei 1860; altri tennero fede al vecchio regime; quasi tutti amavano il quieto vivere e avevano una paura maledetta della polizia. La loro cultura giuridica, grande davvero nei migliori, era deficiente in ogni altro ramo. Conoscevano il latino; pochissimi, il francese; di scienze politiche e sociali quasi neppur l’abbicì, e la storia era in essi o una reminiscenza della sacra o della romana, così come lo avevano apprese nelle scuole, o ricordo di fatti ai quali avevano assistito. Il sentimento municipale era comune a tutti; e poiché non avevano veduto altri paesi, essendo il viaggiare allora ben difficile, credevano in buona fede che Napoli fosse l’alfa e l’omega d’ogni bellezza e d’ogni civiltà. L’Italia per essi finiva al Tronto. In casa Starace si raccoglieva il fiore della borghesia e la frequentavano non pochi aristocratici, clienti dell’insigne avvocato; una difesa del Marini Serra era un avvenimento oratorio; un’arringa o un’allegazione di Starace, di Cacace o di Villari, davano argomento de’ pubblici parlari; e quando si discutevano celebri cause in Cassazione o alla Corte criminale, vi si andava come a pubblico spettacolo. Molti ancora ricordano il Marini Serra, col suo faccione nudo di peli. Egli entrava nelle sale di Castelcapuano con le braccia infilate a quelle di due suoi giovani di studio, offrendo le guancie per farsele baciare dagli amici e dagli ammiratori, perchè un’altra caratteristica degli avvocati di allora, e de’ napoletani in generale, era quella di dare e ricevere baci: abitudine che i nuovi tempi hanno un po’ corretta, ma non distrutta.